mercoledì 26 dicembre 2012

Atterraggio di emergenza

La Nave scendeva di poppa, ancora troppo veloce, ma non potevamo permetterci un atterraggio lento; tutti i parametri erano stati inseriti, non mi restava che passare e ripassare le mani sudate sui calzoni, e lasciare che Nave facesse quel che doveva.
In fondo alla cabina la mia compagna mi sorrise, già ben legata alla cuccetta di decelerazione, toccandosi il pancione.
Dio mio che iella ! E dire che tutti mi chiamavano "fortunello", alla Base.
Appena avevo compiuto diciott'anni, il Grande Selezionatore mi aveva chiamato, e dopo giorni e giorni di esami aveva emesso il suo decreto: sarei stato Astronauta.
Non era una cosa che capitava a molti. Da noi nessuno lavorava, facevano tutto i robot, ed ogni uomo o donna poteva dedicarsi felicemente a ciò che il Grande Selezionatore scopriva più adatto alla sua natura.
Molti erano Artisti delle varie Arti, Pittura, Musica, Poesia, Danza... molti erano Matematici, Fisici, Architetti, molti ancora Biologi, e poi Filosofi, Pensatori... Ma gli Astronauti erano la linfa che alimentava queste attività, perchè viaggiavano di stella in stella, di pianeta in pianeta, e portavano indietro le scoperte ed il sapere nuovo.
Anche le Navi erano robot, di tipo senziente, ed ogni Nave che veniva generata si adattava ad un solo Astronauta: si, perchè il motore funzionava per la stretta comunione di due menti. Partivi con i razzi normali, ti spostavi un po' al largo dal pianeta, poi collegavi la mente con quella di Nave, pensavi una destinazione e... sparivi, per riemergere dall'iperspazio nelle vicinanze della meta.
Ci vollero più di dieci anni prima che il Grande Organizzatore mi chiamasse, e quando mi consegnò la Nave che finalmente si adattava a me, lo vidi un pochino perplesso....
E me ne accorsi fin dal primo viaggio: volevo andare su Epsilon Eridani, mi misi in comunione mentale con Nave e mi ritrovai dalle parti di Betelgeuse.
Ci fu una franca discussione tra me e Nave, e la verità venne fuori: non è che lei volesse fare a modo suo, la cosa era fuori dal suo controllo come dal mio, perciò... prendere o lasciare. E lasciare poteva significare ancora dieci anni a non far nulla.
Ma ben presto Nave ed io scoprimmo il lato bello della faccenda: per qualche strano motivo, avevamo la fortuna di imbatterci nelle novità più incredibili !
Fummo noi a scoprire le Farfalle di Metano del quinto pianeta di Tau Ceti, i bruchi gelatinosi del pianeta CXD412, che assumono la forma che pensi, l'acqua magnetica di U858 che scorre dalla foce alla sorgente, le donne volanti di Aldebaran, le cui danze stanno facendo impazzire i nostri Artisti Danzatori nonchè i Fisici e gli Ingegneri che cercano di fabbricare ali per i Danzatori.
Ad ogni ritorno alla Base erano pacche sulle spalle, inviti a bere al bar, perchè i colleghi e le colleghe Astronaute volevano le primizie di ogni missione, ed i novizi, man mano che arrivavano, volevano il racconto delle vecchie prodezze. Per questo mi chiamavano "fortunello", e non nascondo certo che la cosa mi piaceva, soprattutto invecchiando, quando ai colleghi miei coetanei cominciava a capitare raramente che una giovane Astronauta, dopo un aperitivo, li invitasse a casa sua.
Era così che avevo conosciuto la mia compagna, una giovane esplosiva con i capelli rossi e gli occhi verdi; era stato un incontro splendido, che mi aveva lasciato solo un po' interdetto al mattino dopo, quando mi disse "voglio viaggiare con te sulla tua Nave".
Io le ricordai che ogni nave poteva portare solo il proprio Astronauta e lei mi rispose "vedremo".
Il "vedremo" mi fu chiaro qualche giorno dopo, quando il Grande Coordinatore mi chiamò (era rarissimo che chiamasse quelli del mio livello) e ritta in piedi accanto alla sua scrivania c'era la splendida rossa. Il Grande Coordinatore cominciò con un "ehmm", bofonchiò qualcosa circa l'opportunità di sperimentare nuovi concetti organizzativi, alluse ad un progetto che gli sembrava... ehm  si ... maturo, fece presente che ero libero di prendere le mie decisioni ma che la Nave aveva già ricevuto le opportune modifiche e che si, "humm", "insomma" , lui era certo che avrei avuto cura di ... sua nipote.
La fortuna mi girò le spalle subito: non tanto perchè avevo puntato al Sagittario e invece come al solito spuntammo fuori dall'iperspazio ai margini della Via Lattea, quanto perchè nel tragitto avevamo colpito un rarissimo agglomerato di neutrini iperpesanti e quindi, come disse Nave, ci trovavamo all'estrema periferia di un sistema, a mesi e mesi di viaggio per raggiungere il primo pianeta con atmosfera respirabile.
In più, avevamo tre razzi su quattro scassati, scorta di cibo e acqua da razionare subito e insomma... nessuna garanzia di salvare la pelle.
Inoltre, la mia compagna dopo pochi giorni rimase incinta, e fatti due calcoli, scoprii che saremmo arrivati sul pianeta abitabile giusto in tempo per il parto. Alleluiah !
Non so quante volte rifacemmo il piano di volo, stiracchiando tutta l'energia possibile. Alla fine, Nave parlò chiaro: ci avrebbe portato in orbita, avrebbe girato di poppa con l'ultima goccia di carburante e poi avrebbe attinto alla Riserva di Squagliamento. Sapevamo cosa voleva dire.
Quando una Nave Squaglia, pezzi dopo pezzi si trasformano in energia pura, che per un po' si può indirizzare, poi una gran fiammata e addio Nave, addio ritorno alla Base. Ma tant'è, non c'erano alternative.
Quando cominciò l'atterraggio, Nave riaccese un attimo le comunicazioni: "addio ragazzi, è stato un piacere volare con voi" e subito chiuse, neanche il tempo di dirle grazie.
1.000 metri, 700.. troppo veloce, 500.. mi alzai e corsi a sciogliere la mia compagna, 400 così va meglio, mi diressi verso il portellone con lei in braccio, 350 ... tutte le sirene cominciarono a urlare ALLARME ALLARME, SQUAGLIAMENTO IN CORSO, PREPARARSI AD ABBANDONARE LA NAVE... 200... più lenta...più lenta 80.. 60 ... 50 ... aprii il portellone... 20 ... 10 ...un tonfo leggero sul terreno nel frastuono degli allarmi, e mi buttai giù, cercando di attutire con il corpo la caduta della mia compagna.
Mi rialzai con una caviglia dolorante, la presi di nuovo in braccio e mi misi a correre come un disperato mentre Nave strillava ALLARME ALLARME...C'era una roccia laggiù, avevo il fiato corto, feci appena in tempo a svoltare dietro la roccia e buttarmi dentro una grotta.  LUCE ! Una luce accecate, un tuono, Nave aveva Squagliato completamente e noi eravamo vivi.
Avevo una torcia e l'accesi, stesi per terra le coperte che la mia compagna aveva preso prima della fuga, ce la feci sdraiare sopra.
Aveva il respiro affrettato, le chiesi cosa potevo fare e lei mi disse "niente... so come si fa.... lasciami sola.... anzi, levati di torno...".
Uscii fuori, a guardare stelle che non riconoscevo. In tasca avevo un pacchetto sgualcito con qualche sigaretta. Non so quanto tempo rimasi lì, mi sembrò un secolo, a scrutare il buio e a fumare.
Intravidi delle ombre lontane che si avvicinavano e nel silenzio di quella notte mi sforzai di cogliere il più piccolo rumore...  rumore di passi sull'erba... dialoghi...
Sentii il pianto del bambino, spensi l'ultima sigaretta ed entrai.
Lei mi guardava sorridendo dolcemente, con il bambino sopra la pancia.
Mi inginocchiai, le accarezzai la fronte sudata e le dissi : non è andata poi così male, sai? C'è gente come noi su questo pianeta, Maria.

giovedì 20 dicembre 2012

il Gazzilloro

E' il 10 ottobre del 1492, mi trovo sopra un armadio e sto guardando Cristoforo Colombo, chino a studiare le sue carte per l'ennesima volta. Tra un'ora sorgerà il sole, e qualcuno griderà "terra ! terra !".
Mi viene in mente che un ottobre di molti anni fa entravo all'Accademia Aeronautica di Pozzuoli, bocciato come aspirante pilota ma selezionato come aspirante ingegnere; ero un buon studente, superai il biennio e mi mandarono a Pisa, dove conobbi Rita, dolce fanciulla con i capelli rossi e gli occhi verdi, presi la laurea e infine superai l'esame di stato.
In pochi mesi accadde di tutto: ci sposammo, non rinnovai la ferma militare e ci trasferimmo a Torino, dove ero stato assunto dalla Fiat Aviazione.
Torino divenne la nostra città: passai a lavorare all'Aeritalia, nacque la nostra Valentina e crebbe bella e intelligente, mentre con gli anni cresceva anche la mia carriera, di ingegnere prima e di scenziato poi.
L'Aeritalia era diventata Alenia, e poi Alenia Spazio, quando l'Italia entrò nel consorzio europeo per la conquista dello spazio, e per me si aprirono le porte di contatti prestigiosi e intellettualmente stimolanti.
Ma ogni volta che avevo tempo libero, la mia mente tornava allo stesso pensiero: come ricavare, da una piccola fonte di energia, una forza così grande da vincere la forza di gravità ?
Ad un certo punto, mi sembrò di aver trovato la soluzione teorica, e incominciai a fare piccoli esperimenti, in segreto, portando in casa una minima attrezzatura.
Proprio all'inizio dell'anno 2000, riuscii a costruire un amplificatore di energia, e ne ricavai il primo e unico motore magnetico della storia; per sperimentare, lo montai dentro una cassetta, misi la cassetta all'estremità di un lungo banco di lavoro, poi feci generare al motore un polo magnetico 50 centimetri più avanti della cassetta, e questa partì a razzo non appena la forza di attrazione del polo artificiale superò la forza di gravità.
Rifeci l'esperimento creando il polo 50 centimetri sopra la cassetta, e questa si alzò, e se non avessi spento il motore avrebbe continuato ad alzarsi all'infinito, inseguendo il polo che lei stessa creava.
Sarebbe stata un'invenzione da premio Nobel, e per un attimo immaginai automobili, camion e treni che correvano dietro al loro polo, e aerei giganteschi e senza ali levarsi in volo; ma decisi immediatamente di non divulgarla: tutti i governi della Terra, le Sette Sorelle e tutti gli sceicchi si sarebbero mobilitati per ammazzarmi e ammazzare tutti i collaboratori che avessi coinvolto nel progetto.
Così, tenni tutto per me e studiai ancora.
Quando si possiede energia all'infinito, ti viene voglia di giocare con lo spazio e con il tempo.
Come tutti sanno, se si riducesse quasi a zero il raggio del cerchio che gli elettroni percorrono attorno all'atomo, la Terra intera diventerebbe piccola come un'arancia, pur mantenendo la stessa massa.
Nel giro di un paio d'anni, programmai un piccolo timer che  accendesse e spegnesse dopo 10 minuti il motore magnetico: la cassetta con il motore e tutto il resto divenne piccola come un fagiolo, e, al tempo stabilito, tornò alle sue dimensioni originali.
Anche allora non mi passò neanche per l'anticamera del cervello di divulgare: tutti i servizi segreti e le organizzazioni terroristiche avrebbero fatto a gara a catturarmi e a estorcere il modo di miniaturizzare un killer, per ammazzare leader sgraditi e fare stragi a piacimento.
Così, mentre si avvicinava il tempo della pensione e rallentavo le mie attività, cominciai a indagare le possibilità dell'ultimo fattore: il tempo.
Un bel giorno, fatte le opportune modifiche al motore magnetico, lo puntai 60 minuti indietro, ne programmai il ritorno a 60 + 5 minuti, misi nella cassetta un orologio ed anche un coniglio; all'ora X, la cassetta divenne piccola come un fagiolo, poi sparì, e riapparve 5 minuti dopo.
Meraviglia ! L'orologio dentro la cassetta aveva registrato 65 minuti, ed il coniglio era vivo e vegeto !
Che fare ? Pubblicare ? Neanche per idea ! Qualche governante o qualche dittatore pazzo o qualche pazzo e basta mi avrebbe rubato il progetto, giusto per andare nel passato e cambiarlo, e magari qualche capo religioso me lo avrebbe rubato per andare nel futuro, e carpire a Dio la data del giudizio universale.
Cosa che comunque non sarebbe riuscito a fare, perchè il "passato" in qualche modo esiste, ma il "futuro" esiste solo quando diventa ... "passato".
Quello che ho fatto è stato di mettere insieme le mie scoperte e costruire un veicolo dove io stesso potessi entrare, attrezzato con il motore magnetico e la strumentazione necessaria.
Il veicolo che ho costruito con resine leggere somiglia alla cabina di un'Ape Piaggio, è di colore verde-oro, e quando l'ho miniaturizzato la prima volta mi è venuto in mente il nome giusto: Gazzilloro !
Inizialmente ho fatto piccoli viaggi sperimentali: porto il Gazzilloro sul tetto (ho un appartamento all'ultimo piano e pesa solo 20 kg), entro dentro, miniaturizzo, mi alzo fino a 1000, 2000 metri e poi parto, a non oltre 300 km/ora, perchè 20 kg di Gazzilloro più i miei 80 fanno 100 kg in uno spazio più piccolo di un calabrone, e non posso rischiare di trapassare da parte a parte un aeroplano incontrato per aria.
Sono stato in Spagna, Francia, Cipro, anche al Polo Sud, ma sono venuto via subito perchè il Gazzilloro non ha il riscaldamento interno.
Collaudata la miniaturizzazione ed il volo, ho cominciato a spostarmi nel tempo, con molta più tranquillità in epoche in cui non c'erano gli aerei.
Praticamente, poichè il Gazzilloro non è pressurizzato, faccio un grosso respiro, bastevole per una trentina di secondi, lancio il motore a 30.000 km/ora e dopo 30 secondi lo fermo per respirare di nuovo: più o meno, faccio 300 km in 30 secondi.
E così, dopo essere andato per prova sulla Torre Eiffel il giorno dell'inaugurazione, ho deciso di venire qui, per godermi la scoperta dell'America.
Al prossimo viaggio porterò con me mia moglie.
Staremo un po' stretti nel Gazzilloro, ma è troppo divertente. Devo solo convincerla a mollare per qualche ora i suoi pennelli !
Ma ecco che il sole sta per sorgere, l'America sta per essere scoperta e Colombo sta per passare alla storia.
A proposito, mi ripromettevo di stabilire una volta per tutte di che nazionalità fosse l'illustre navigatore, ed ora non ho più dubbi: quando nessuno lo ascolta ed è arrabbiato, Cristoforo smoccola in genovese !

venerdì 30 novembre 2012

Il reclutatore



E va bene, mentre prendiamo questo aperitivo ti racconto tutta la verità.
Sono un rappresentante della GSD, General Support Distribution Ltd., anzi, sono l’unico rappresentante, ma questo non è importante perché in realtà la GSD non esiste.
O meglio, esiste solo sulle carte che mi porto nella valigetta, fornisce prodotti che esistono solo su queste carte ed ha una sede che cambia ogni volta che arrivo.
No, non mi chiedere da dove vengo, te lo dico dopo.
Diciamo che ad un certo punto io compaio su un pianeta, di solito mescolato tra quelli che hanno appena passato la dogana, ho le carte in regola con tutti i timbri, la valigetta, soldi contanti e vado subito a prenotare un viaggio per qualche altra destinazione.
Esco dallo spazioporto, fisso un albergo e poi mi metto in moto. Cerco qualche Autorità o qualche Manager, fisso appuntamenti, presento i prodotti che mi sembrano più appetibili, la tiro in lungo fino a che ad un certo punto sparisco.
Perché vedi, il mio obiettivo non è affatto quello di vendere qualcosa, ma di prendere qualcosa.
Tu sai come girano le cose nella galassia. 
Abbiamo questo Supremissimo, che si fa chiamare Little Daddy, quello che da più di mille anni comanda in maniera assoluta e che ormai di umano avrà solo qualche pezzo di cervello, con tutte le protesi che si è fatto fare.
Tu sai che comanda attraverso diversi miliardi di androidi ai quali ha dato la sua faccia da pazzoide crudele, che la sua faccia è su tutte le astronavi, in cima ai palazzi, su tutti i documenti e sui soldi, perfino sulla biancheria delle persone, per far sentire a tutti che lui c’è, che sorveglia tutto e tutti, e tu sai che tutti gli esseri umani sono divisi in due categorie: gli Specialisti e i Generici. E sai bene che ogni Specialista, dal comandante di astronavi, al manager, al funzionario e perfino al cameriere di questo bar è semplicemente uno che si è venduto a lui giusto per avere un po' di potere o un po' di soldi, e per mantenere questo privilegio o per fare carriera non esita a trasformarsi in spia. E se mai qualcuno degli Specialisti in questi mille anni ha provato a organizzare una ribellione è stato scoperto e neutralizzato prima di aver raccolto anche solo due o tre seguaci.
Little Daddy ha rafforzato il suo potere spingendo al massimo la globalizzazione.
Ogni pianeta della galassia è costretto a produrre una sola cosa: c’è il pianeta che produce le sedie, quello che fa i tavoli, quello che fa il grano, quello che fa la birra, quello che fa i trattori e così via. Arrivano le astronavi a prendere il prodotto di un pianeta e consegnano il minimo indispensabile che serve al pianeta stesso, e che è stato prodotto negli altri pianeti. Con questo sistema, neanche voi Generici potete ribellarvi, perché basterebbe bloccare il flusso di astronavi, e sareste alla fame in poche settimane prima ancora che arrivi qualche battaglione di androidi a decimarvi.
Adesso ti dico una cosa: io vengo da un pianeta che non c’è.
Lo scoprì il mio bisnonno, uno Specialista ribelle che ebbe il buon senso di confidarsi solo con sua moglie. Il mio bisnonno costruì un apparecchio, e lo puntò su una mela, che sparì.
Fece delle modifiche, finchè altre mele, oltre che sparire, tornarono dopo un tempo da lui stabilito. E poi un giorno una mela ritornò in bocca ad un animaletto peloso, indubbiamente mammifero e respirante ossigeno. Allora insegnò alla bisnonna come usarlo, se lo fece puntare addosso ed entrò in un universo parallelo, si trovò su un pianeta disabitato ma abitabile, e quando la bisnonna lo richiamò indietro organizzò la fuga per loro ed i loro figli.
Per qualche anno il bisnonno andò avanti e indietro, portando sul pianeta ogni sorta di attrezzature; costruì una casa, portò ancora scorte di cibo, due pecore, una decina di galline, tutte le mappe di tutti i pianeti della galassia e alla fine trasferì definitivamente moglie, due figli e lasciò che l’apparecchio si autodistruggesse.
Una volta organizzata la sopravvivenza, il bisnonno ricostruì l'apparecchio, più preciso e sofisticato, che permetteva di scegliere il punto esatto dove apparire in qualunque pianeta della galassia.
E così mio nonno prima,  poi mio padre e adesso io, faccio continue scorrerie tra il nostro pianeta che non c’è e i pianeti della galassia. Appaio, eseguo la mia missione, e al tempo stabilito l’apparecchio mi riporta al nostro pianeta. Cosa faccio ? Te lo dico subito.
Vedi, il progetto del bisnonno è che il pianeta che non c'è possa produrre tutto quello che serve, che diventi autosufficiente, e che le persone che lo abitano possano vivere facendo il lavoro che vogliono.
Per ottenere questo, la mia missione è di andare su un pianeta che abbia una tecnologia o un prodotto che ci serve e portarlo via con me, ma soprattutto, se trovo una persona che vuole cambiare la sua vita, la mia missione è di portarla sul nostro pianeta: ormai siamo più di diecimila, tra gente che abbiamo trasferito e figli nati da loro.
Adesso ascolta bene, perché tra poco il mio tempo finisce.
Sono venuto sul tuo pianeta perché voi coltivate le rape per tutta la galassia.
Noi non abbiamo rape ed ho già preso un bel sacchetto di semi, ma cercavo anche una persona che sapesse coltivare le rape, e tu sei una Generica esperta di rape, e non sei solo una bella donna con i capelli rossi e gli occhi verdi, sei anche una persona che ha voglia di libertà.
Perciò ti dico, vieni via con me, sul mio pianeta.
Dovrai coltivare le rape e insegnare a qualcuno dei nostri ortolani a farlo, poi potrai sceglierti il mestiere che vuoi, qualunque mestiere, anche fare l’artista, se vuoi.
Ecco, l’aperitivo è finito, hai deciso ?
Si ?
Splendido, nessuno sta facendo caso a noi, dammi la mano e facciamoci trasferire insieme.
Ah, senti Ruth, non c’è fretta, magari prima ti organizzerai un po' e poi mi risponderai, ma …. che ne diresti di sposarmi ?

sabato 3 novembre 2012

Più veloce della luce

Quando gli scienziati scoprirono che non si poteva superare la velocità della luce, e che quindi l'uomo non sarebbe mai andato sulle stelle, alla maggior parte dell'umanità non gliene fregò niente.
Qualcuno rifece i calcoli "n" volte e abbandonò la partita, qualcun altro si mise a fantasticare di motori atomici, quantici, a base di neutrini o che altro, accoppiati all'ibernazione, senza cavare un ragno dal buco.
Ma in tutte le faccende dell'umanità, prima o poi nasce un Genio.
Ed i Geni hanno la straordinaria capacità di far diventare semplice ciò che è difficile.
Circa 800 anni fa, Philip Nosthat Snif, Professore emerito di fisica della Columbia University, ebbe l'idea che nulla fosse più veloce del pensiero, neanche la luce, e quindi trovò finanziamenti adeguati e creò il primo gruppo di ricerca per studiare il pensiero.
Circa 300 anni dopo, dalle innuverevoli ricerche effettuate, Ronald Began Junior, estrapolò la seguente conclusione: occorreva svolgere una selezione di uomini (e donne) a livello mondiale, per individuare soggetti la cui "forza" pensatoria fosse veramente straordinaria.
Nacque così la ristrettissima cerchia dei capaci, cui le autorità assegnarono il nome semplice ma molto onorevole di Pensatori.
Altri 300 anni di tentativi senza successo, anzi, non pochi Pensatori, concentrandosi sul raggiungimento di una stella tramite il pensiero, impazzirono.
Finchè, un altro Genio indiscusso, Thomas Lickcrumbs del MIT, ipotizzò che la pazzia dei pensatori fosse dovuta al fatto che essi con la mente riuscivano ad andare "altrove", ma non andandoci con il corpo finivano per impazzire. Raccogliendo i racconti di quelli che riemergevano dalla pazzia, Thomas non li considerò "deliri", ma prove che il viaggio fosse possibile, e teorizzò che per "portarsi dietro" il proprio corpo e anche attrezzature materiali, i Pensatori dovessero andare a concentrarsi in luoghi dove vi fosse una parte sottile tra i mondi, vale a dire una ... discontinuità nello spazio.
Il resto lo sapete. I governi cercarono e selezionarono individui capaci di vedere le "discontinuità"; queste persone furono chiamate con il nome semplice ma onorevole di Rabdomanti.
Negli ultimi 100 anni i Rabdomanti hanno scoperto diverse discontinuità, ed i Pensatori portati lì davanti hanno "attraversato" la sottile parete, trasferendosi nei mondi lontanissimi su cui riuscivano a concentrare il pensiero.
Certo, qualche Pensatore morì perchè nel "pensare" il mondo di arrivo dimenticò di escludere i pianeti con atmosfera corrosiva, qualcun altro non sapeva nuotare e dimenticò di pensare "voglio arrivare su terra e non nell'acqua", ma alcuni Pensatori veramente in gamba riuscirono a spalancare le porte alla colonizzazione dei mondi lontani, oltre che a diventare spaventosamente ricchi: il pensiero infatti è "unico", non copiabile, e quindi chi apriva una volta una porta era l'unico in grado di ripetere la performance... e di prendersi la royalty.
Francamente, invidio un po' Arheta Frankdot, che ha stabilito una strada fino al pianeta 474OMB della stella 89KK del Cigno: tra poco sarà pronto un treno composto da 600 vagoni, stanno ultimando le rotaie che conducono fino alla discontinuità, dove Arheta porterà di là se stessa in cima al convoglio e una quantità enorme di persone e attrezzature. Quello che ci vuole per costruire la prima colonia terrestre nello spazio. Arheta diventerà ricchissima e così pure Abel Cain, il Rabdomante che per lei scroprì la discontinuità.
Mi chiamo Dan Coppergold, sono un Rabdomante e vivo insieme a due persone splendide: Jhonny Toogood e sua moglie Rebecca.
Jhonny ed io siamo stati amici fin dall'infanzia, stesse scuole, stessi sogni, stesse amicizie e ad un certo punto lo stesso amore, Rebecca appunto, una splendida rossa con gli occhi verdi.
Ci separammo solo dopo la laurea, ma quando ci incontrammo e scoprimmo che lui era diventato Pensatore ed io Rabdomante, decidemmo di vivere nello stesso appartamento, io, lui e sua moglie Rebecca, anche lei ricercatrice del CNS, Centro Nosthat Snif.
Modestamente, io qualche discontinuità l'ho trovata, andando in giro qua e là, ma Jhonny continua ad essere in lista di attesa: fin'ora, non è stato mai selezionato per entrare in qualche discontinuità.
Lui ne soffre, ovviamente, si arrovella, è sempre più sfiduciato, nervoso, immusonito, ed io farei non so che cosa per favorirlo, se dipendesse da me.
Stamani è successa una cosa veramente incredibile.
Ero andato nel ripostiglio a prendere gli scarponi da rabdomante che tengo nell'ultimo ripiano di uno scaffale, salendo sulla scaletta.
Si è rotto il terzo piolo, sono caduto giù, ho battuto il mento su uno scaffale e sono rimasto a terra tramortito.
Piano piano, a parte l'atroce mal di testa, ho ricominciato a vederci chiaro, tranne .... tranne un puntino di neanche mezzo centimetro appena all'esterno di un montante dello scaffale.
Ora, io un certo fiuto ce l'ho, ed ho capito subito di avere davanti agli occhi una discontinuità.
Ci ho infilato dentro una matita che avevo nel taschino, l'ho vista entrare e non l'ho vista uscire dall'altra parte, l'ho mossa in cerchio ed ho allargato la discontinuità... Fantastico, incredibile. Ho legato la matita al montante, in modo da tenere aperta la discontinuità, e sono andato a medicarmi il bernoccolo ed a pensare a quanta felicità mi avrebbe dato questa scoperta.
Felicità... Non era invece felice Jhonny quando rientrò: aveva di nuovo perduto una selezione, e non c'erano in vista altre discontinuità da assegnare.
Era veramente a terra, e per consolarlo gli dissi che non era poi così raro trovare discontinuità, che doveva avere fiducia, poi, di fronte al suo profondo scoramento, gli raccontai del ripostiglio.
Jhonny mi ascoltava con gli occhi febbricitanti di emozione, mi artigliava il braccio, e poi e poi... Mi disse che aveva con se l'attrezzatura da esploratore, che voleva andare subito nella discontinuità e al diavolo i selezionatori e le regole.
A nulla valsero le mie proteste: non puoi dire di no al tuo migliore amico che ti implora di avere una chance !
E va bene, abbiamo allargato la discontinuità, è entrato, adesso è di là, e parliamo attraverso gli auricolari che stanno in cima alla corda, quel filo incredibilmente sottile che lega il Pensatore che è di là a chi sta di qua, e permette di parlare, e anche di inviare soccorsi.
- Dan, è un mondo bellissimo, una natura rigogliosa ma pulita, aria, acqua....
- Jhonny, fai qualche foto okai ? Qualche foto e poi rientra.
- Si, ma aspetta, c'è gente, molte persone, sembrano amichevoli, si avvicinano...
- Jhonny, adesso basta, non hai la qualifica per comunicare con alieni, torna indietro !
- Dan, piantala, qui non ci sono rischi, figurati, sembra tutto pervaso da una musica stereo...
- Cribbio Jhonny, ok, non buttare al vento la tua scoperta, vieni qui e andiamo dai capi.
- Dan, va tutto bene, mi stanno parlando, vogliono sapere come ho fatto ad arrivare.
- Jhonny non glielo dire ! E' un segreto militare, porca miseria !
- Inutile Dan, hanno già capito, dicono che anche loro conoscono le discontinuità, e vanno dove gli pare da sempre
- E va bene, adesso basta, saluta e dì loro che tornerai...
- Ehi Dan, sai che buffo, dappertutto sono spuntate tavole imbandite, ora si mangia...
- Jhonny, finiscila, vieni via !
- Si si, OK, non ti arrabbiare, mangio un boccone con questa splendida gente e arrivo.
Prima o poi, nella vita viene il momento in cui devi prendere decisioni irrevocabili, se sei onesto, più per il bene degli altri che per il tuo, e dopo che le hai prese devi portarne il peso per sempre.
Ho pensato a Jhonny, che finalmente avrebbe avuto la sua gloria, e soldi a non finire, e conferenze e onori come tutti i Pensatori di successo, ho pensato a Rebecca, che avrebbe visto un marito ora scontroso, immusonito e sempre pieno di problemi trasformarsi in un marito di successo, al centro delle attenzioni di tutti, sempre più in alto nella scala sociale, più in alto rispetto a lei, coraggiosa piccola donna dai capelli rossi e dagli occhi verdi, che teneva fede coraggiosamente alla promessa fatta davanti all'altare...
Ho buttato dentro il capo della corda.
La discontinuità si è già ridotta ad un centimetro quadrato.
Tra poco sposterò di pochissimo lo scaffale; basterà per turbare l'equilibrio cosmico.
La discontinuità sparirà per sempre. 

lunedì 17 settembre 2012

Il meccanico Indipendente

Ce l’avevo fatta, in barba alle pattuglie della Federazione.
Ero emerso dall’iperpazio quasi addosso al quinto pianeta di C27U9, mi ero fiondato giù con la scialuppa nella zona notte, avevo individuato la miniera (evviva la mappa che avevo vinto ai dadi a quel vecchio rudere di un Oxy !) ed in poche ore avevo raccolto un paio di quintali di Pinzimonio, il non-metallo iperconduttore con il quale si fanno i più sofisticati circuiti elettronici.
E poi via, per tornare alla mia Nave prima che la notte finisse, stivare il raccolto nel terzo container e mettermi ai comandi per la procedura di partenza.
La mia Nave è conosciuta come “Bruco” in tutti gli spazioporti della Galassia. Ha la testa, un vecchio yacht col motore potenziato, e dietro traina una serie di container, dove tengo stivati i miei tesori.
Sono un meccanico indipendente, vado dove mi pare e aggiusto quello che mi pare, e di lavoro ce n’è ragazzi, in tutti gli spazioporti: non sono molti quelli che possono spendere nelle Officine Autorizzate, e poi ci sono quelli che hanno esigenze che è meglio non far sapere agli sbirri della Federazione…
Sto per premere il pulsante dell’iperspazio quando nell’angolino in alto a destra del radar mi compare qualcosa che non dovrebbe esserci.
Indago, sono fatto così.
E in pochi minuti passo attraverso tutti gli stati d’animo.
Oddio, è una Pattuglia…. No, troppo grossa.
E’ un incrociatore da battaglia della Federazione…. Sono fritto.
Però sta fermo … ingrandisco… è pieno di buchi… Perbacco, è morto.
Se è un rottame di qualche battaglia con i Mondi Liberi Riuniti, è la volta che divento ricco, sai quanto vale in rottami una bestiola così ?
Vado a vedere… Cribbio, c’è qualche oblò illuminato a prua, zona plancia… La radio gracchia… una voce di donna: “Qui è l’incrociatore da battaglia Tempestoso, della Federazione Galattica: identificatevi immediatamente e accostate !”
C’è qualcosa di stonato, penso per un microsecondo e rispondo “Calma sorella, da quando in qua i trabiccoli della Federazione non accostano ma chiedono di essere accostati ? Mi sembrate messi maluccio e io non accetto ordini, conto fino a cinque e me la squaglio”
Il tono cambia subito “Abbiamo qualche problema… che stiamo risolvendo… siete dei civili… dove siete diretti ?”
Occhei, non è un rottame da prendere ma qualcosa ci posso ricavare. Assumo un tono ufficiale: “Apparteniamo alla gilda dei meccanici (balla n. 1), alla Base ci stanno aspettando (balla n. 2), serve aiuto per risolvere i … vostri problemini ?”
Va bene, ci mettiamo d’accordo per un’ispezione ai danni: mi avvicino ed io, uno di noi (balla n. 3 perché sono solo), esco e vado con la scialuppa monoposto verso uno squarcio a poppa dell’incrociatore. Entro e cammino, raggiungo la zona ancora a tenuta stagna e mi fanno entrare in plancia.
Wow che macello ! Qua è tutto scassato e frantumato, e non ci sono più di dieci membri dell’equipaggio, cinque terragni, due tubi trasparenti di Oxy, qualche emiuomo di Sirio, difficile contarli perché si sdoppiano e si riuniscono continuamente.
La capa in uniforme avrà trecento anni ma è dritta come un fuso e imperiosa. Dico: “Ciao sorella, dammi la piantina della nave che faccio un giro, cominciando dalla sala macchine”. “Nessuna pianta, ti ci porto io e non sono tua sorella”.
Ecco, fine del giro, siamo di nuovo in plancia, dove hanno fatto una specie di caffè, e questa è la situazione:
“Tutti e due i giroscopi fottuti, uno è riparabile con i pezzi dell’altro, nel motore atomico si è aperto un buco attraverso il quale le barre di uranio sono volate via, volendo ho delle barre di scorta per sostituirle, il cervello di bordo è scioccato e tonto come una mucca tonta, dovrei isolare tutti i sensori non necessari e riprogrammarlo, le piante idroponiche sono quasi tutte morte: mission impossibile, avete 72 ore di aria. Meglio che veniate a bordo del Bruco, vi attrezzo un container, magari… ecco, magari prendo il Tempestoso a rimorchio della MIA (e sottolineo MIA) nave”.
La capa mi trapassa con gli occhi “No, noi la nave non l’abbandoniamo (e sottolinea…perché non è gnugna ed ha capito al volo che… una nave abbandonata e rimorchiata appartiene a chi la rimorchia). Invece tu in 72 ore ripari i guasti, noi ti aiutiamo, partiamo e riportiamo alla base la nave e ….(pausa ad effetto) la sua cassaforte”.
Ci penso su un attimo, ovviamente non è il business della mia vita, ma le navi della Federazione, si sa, hanno ricchezze a bordo, se non altro gli stipendi dell’equipaggio e quindi, meglio di niente…e poi io non so dire di no, sono fatto così.
“Va bene nonnina, divido l’equipaggio in squadre e le distribuisco a fare i lavori preliminari, così io mi occupo solo del difficile”. “Va bene, e non sono tua nonna, e le squadre le faccio io”.
60 ore senza un attimo di respiro, metti la tuta, togli la tuta, leva questo e collega quest’altro…C’è una terragna piuttosto sveglia che mi aiuta molto, è una rossa con gli occhi verdi, e del fatto che è sveglia me ne accorgo quando la carico nella scialuppa monoposto per andare a prendere le barre d’uranio nel container: ci mettiamo 35 minuti, anziché 15.
Alla fine sono esausto, devo dormire qualche ora prima di riprogrammare il computer, chiedo dov’è che posso andare a riposarmi e la nonnina sorride a tutta bocca (dio quant’è furba !): “le camere dell’equipaggio sono disastrate, milord, accomodati nella mia, puoi anche fare una doccia, e fra tre ore vengo io a svegliarti”.
Ed eccomi davanti al Cervello tonto, che ha la voce strascicata da cameriere inglese e la prosopopea da robot-so-tutto-mi. Mi da ai nervi e gli cambio subito la voce, una bella voce calda da cantante di soul.
Ci vogliono sei ore per staccare il cervello da tutte le parti non funzionanti e non essenziali del Tempestoso, e qualche difficoltà a fargli capire che l’unico giroscopio deve funzionare al contrario: se vuoi andare a destra devi girarlo verso sinistra.
Bene, ho finito, e anche le colture idroponiche funzionano, c'è aria a volontà. “Allora, ammiraglio, vogliamo dare una sbirciatina a questa cassaforte ?”.
E’ formale, la vecchia ragazza, e mi porge un modulo: “Bene figliolo, la Federazione ti sarà grata per aver salvato il Tempestoso. Ecco, compila il modulo, mi raccomando, scrivi bene il tuo IBAN, e vedrai che a breve riceverai un compenso adeguato”.
Rimango senza fiato, come un baccalà fuori dall’acqua: l’IBAN io ? Per farmi beccare dalla Finanza della Federazione ? Avrei voglia di strozzarla, la vecchia gallina, se non fosse che con la coda dell’occhio vedo che tiene l’altra mano appoggiata al calcio del fulminatore…
E va bene, scoppio a ridere, piglio il modulo e lo strappo, giro sui tacchi e me ne vado.
Sono di nuovo in cabina, nel Bruco, guardo il Tempestoso che sta scomparendo nell’iperspazio e mi accingo a partire anch'io.
Anche stavolta non sono riuscito a diventare ricco, ma che ci volete fare, sono fatto così.

giovedì 30 agosto 2012

Di tutto un po': Fiat 626

Di tutto un po': Fiat 626: Gli ultimi FIAT 626 uscirono dalle catene di montaggio nel 1948, ma per molti anni ancora questo piccolo camion sarebbe stato il compagno fe...

martedì 22 maggio 2012

Destino di famiglia

In questo fine maggio freddo e piovoso, mi è capitato di riprendere in mano un libro dedicato al mio paese e dove è possibile leggere i documenti che raccontano qualcosa della mia gente, nel senso latino di gens, o etrusco di clan, a partire dagli antenati di oltre tre secoli fa.
I Vaselli erano e rimasero mezzadri, coltivavano terre di cui non erano e non divennero mai padroni.
Così bravi nel loro mestiere da consegnare al padrone di turno sempre più di quello che si aspettava, così bravi che la parte di raccolto che potevano trattenere era sufficiente a garantire loro un tenore di vita migliore di quello degli altri mezzadri.
Così bravi da meritare di pagare anche le tasse ai padroni dei padroni, che prima erano i granduchi di Toscana e poi i re d'Italia.
Erano talmente bravi nel loro mestiere che i padroni avevano bisogno di loro, li chiamavano alla loro presenza e qualche volta li invitavano a tavola. Ma durava poco.
La mia gente era umile ma non serva, parlava francamente e con rispetto del comune seppur diverso interesse, per cui i padroni prima o poi non li invitavano più a tavola con loro, tanto per rimarcare la differenza: caro Vaselli, sei bravo si, ma non illuderti di essere nostro pari.
Neanche gli altri, mezzadri o bifolchi che fossero, amavano la mia gente: quando i Vaselli erano in auge erano ritenuti superbi che era meglio temere, e quando non erano in auge si mormorava che lo meritassero, per aver voluto puntare troppo in alto.
Il ramo principale dei Vaselli coltivò sempre il podere di Fonteluco, il più grande e più bello del Pian della Bestina, e i rami cadetti coltivarono molti dei poderi a qualche ora di cammino, intorno al paese di Serre di Rapolano. Erano un clan forte perchè numeroso, solidale.
Poi la filosofia socialista, arrivata nei paesi durante la generazione che precedette la mia, distrusse la famiglia come entità allargata e solidale, e successivamente la filosofia dei diritti uguali per tutti, arrivata con la mia generazione, provvide a disperdere le famiglie-clan: tanti mestieri e non più un solo mestiere di famiglia, tanti e tanti chilometri tra biscugini e cugini, tra zii e nipoti e poi tra padri e figli, e nipoti.
La generazione dopo la mia ha sostituito cento o duecento parenti con altrettanti amici, amici delle medie, del liceo, dell'università, ancora più dispersi nel mondo.
Una volta, per non sentirsi soli la sera, si poteva fare una camminata di qualche centinaio di metri per andare a trovare un cugino e parlare di lavoro, di salute, della festa da organizzare, o per raccontare cosa aveva fatto uno o l'altro.
Adesso ci si collega via internet con un amico, per parlare delle stesse cose, ma senza respirarsi addosso, senza una stretta di mano, "ciao, e mi raccomando, se ci fosse bisogno chiama, faccio cinquecento metri, pardon, cinquecento chilometri e arrivo subito".
Ed io ? Io sono rimasto mezzadro come i miei antenati, ho fatto rendere per conto di altri aziende che non ho mai posseduto ma ne ho ricavato abbastanza per far vivere bene i miei cari, sono stato invitato spesso a tavola dei vari padroni e poi allontanato, ma non ho potuto nè appartenere ad un clan di parenti nè avere un clan di amici.
Ma va bene così, purchè riesca a far durare il giochino del mezzadro fino all'ultimo.

martedì 6 marzo 2012

Il seguito de "La Volpe e l'uva"

Da quando Fedro consegnò la favola all'imperatore Claudio e alla Storia, tutti parlano male della povera volpe, portandola ad esempio di ogni nefandezza. SUPPONENZA (perchè non sogni un grappolo alla tua portata ?), SUPERBIA (non raggiungi l'obiettivo ? non dare la colpa a qualcun altro, o all'obiettivo stesso), VILTA' (se non ce la fai, non dire che tutto sommato non ti interessava).
Purtroppo succede a molti di essere "fotografati" in un istante solo della loro vita e di passare alla storia solo per quella fotografia.
E così vi racconto il seguito.
Un altro giorno, la volpe percorreva un sentiero, ed aveva una fame terribile.
Incontrò un uccelleto morto, piuttosto repellente. Lo annusò, disse "mmmh che buono !" e se lo mangiò.
Ci fosse stato Fedro lì, sul posto, la volpe sarebbe passata alla storia come esempio di virtù: MODESTIA (prendi ciò che le tue capacità di consentono di prendere), UMILTA' (non mi piace, ma ne ho bisogno), SAGGEZZA (se devo fare una cosa che non mi piace, mi peserà di meno se penso che non sia poi tanto tremenda).
Ora, la morale delle favole è che nessuno è mai in una maniera sola.
Viviamo, a volte siamo modesti, a volte supponenti, a volte ci umiliamo, a volte siamo superbi, a volte la saggezza viene scambiata per viltà e viceversa.
E allora, se prendiamo atto che siamo fatti così, non dovremmo mai, a nostra volta, pensare o dire che gli altri sono in una maniera sola.
E quando il comportamento di qualcuno ci sconcerta, dovremmo o passare oltre, fregandocene, oppure, se proprio gli vogliamo un po' di bene, cercare di capire ... cosa c'è sotto, e compatire, o accettare, o perdonare. Proprio come vorremmo che gli altri facessero con noi.

domenica 19 febbraio 2012

Il primo amore non si scorda mai

Sarebbe meglio dire "la prima cotta", ed anche se è passato più di mezzo secolo, ancora ricordo il doppio nome, il doppio cognome e l'indirizzo della fanciulla che per prima mi fece battere il cuore.
Essendo di origine campagnola, sapevo bene come si svolgevano certe cose ed altrettanto bene sapevo di aver poche speranze: ero in quinta elementare, mi ero innamorato della maestrina della terza ed il massimo cui potevo aspirare era di poter ballare con lei.
Quell'anno ci sarebbe stata una festa da ballo per gli alunni della quinta, quelli che si fermavano lì e quelli che avrebbero passato l'estate a studiare per l'esame di ammissione alla scuola media, e affronatre da settembre la quotidiana trasferta di 30 chilometri, dal paese a Siena, dove c'era appunto la scuola media.
I genitori avevano fatto le cose in grande, prenotando il dancing nel bosco in cima al paese, con la pista da ballo all'aperto, profusione di spuntini e dolci, luci, palloncini colorati e bibite.
E tra le bibite, trionfava la Roveta, un'aranciata deliziosa in una bottiglietta a forma di arancia, con il vetro trasparente e rugoso.
L'orchestrina del paese suonava e tutti ballavamo, ma il coraggio di invitare la mia bella proprio non mi veniva, finchè.....
Arrivò il momento del ballo della scopa, vecchia tradizione delle feste nell'aia durante la mietitura.
Le coppie cominciavano a ballare e un cavaliere entrava in pista con una scopa, la metteva in mano ad un altro e gli rubava la dama; il derubato dava la scopa ad un altro dame e così via, finchè la musica si sarebbe interrotta di colpo, e chi aveva la scopa in mano in quel momento sarebbe stato il cavaliere del ballo finale.
E così, quando mio zio, che suonava la tromba, interruppe di colpo il suo favoloso assolo di In the Mood, la scopa era in mano mia.
Ora toccava alle dame di far girare la scopa.
L'orchestra attaccò Rosamunda, una polka indiavolata di quelle che ti tagliano le gambe, e il mio babbo, che suonava la fisarmonica e la sapeva lunga, interruppe la musica quando la scopa ce l'aveva la mia bella !
Ah che emozione ! Urla, fischi, schiamazzi e aranciata a go-go, giusto per riposarsi un po'.
Poi si fece silenzio, genitori e bambini si misero intorno alla pista ed entrò la coppia finalista.
Feci un compito inchino alla mia maestrina e cominciammo a ballare un lento valzer, il valzer della vedova allegra, pezzo forte di mio padre alla fisarmonica e omaggio al nome che mi avevano dato.
Anche se non potevo stringere troppo perchè la mia maestrina aveva il seno puntato dritto tra i miei occhi, guidavo benino il ballo, attento a non pestarle i piedi, mentre la gente intorno batteva le mani, e verso la fine cominciò a gridare "bacio ! bacio !"
E così fu, un sonoro muah muah che mi fece toccare il cielo con un dito e mi lasciò il trofeo del rossetto sulle guance.

venerdì 27 gennaio 2012

Mammellozzi


Dalla finestra di un castello...
Quando ancora non esistevano i GPS per trovare le coordinate di un punto, c'era la BSA.
Ero uno degli Artiglieri Topografi della Batteria Specialisti Artiglieria (BSA) del 131° Reggimento Artiglieria Corazzata della Divisione Centauro, e ci avevano insegnato a maneggiare bussola e mappe, teodolite e tavola dei logaritmi per trovare latitudine, longitudine e altezza di un punto e riportarlo su una mappa.
Ovviamente in quel "punto" bisognava andarci, e ci stavamo appunto andando, in una mattina di febbraio dalle parti della Baraggia, nel vercellese.
Era la prima esercitazione pratica e sul camion telonato faceva un freddo boia, nonostante scarponi, doppi calzini, doppia maglia di lana, maglione militare, tuta mimetica e cappottone grigoverde.
Ci precedeva la camionetta del Capitano, un tipo che parlava poco e quando parlava lo faceva a bocca quasi chiusa, giusto per essere più sintetico.
Ad un certo punto il camion si fermò, e apparve il Capitano per indicare un paracarro con il suo bravo catarifrangente lungo la stradina a malapena asfaltata e dire "due giù, prendere questo paracarro e caricare, cinque minuti. Azione".
Perchè dovessimo sradicare e portar via i paracarri era un mistero.....
Lasciata l'ultima stradina, avanzammo ancora tra sterpaglie e saliscendi, inpantanandoci tra fango e neve e facendo ruggire il motore del vetusto Lancia, finchè si arrivò da qualche parte.
Rieccolo: "giù tutti, prendere il paracarro e tutto il resto, tre minuti in marcia. Azione"
Eravamo alla base di un monticciolo coperto da alberi, alberelli e sterpaglie varie, e marciare in salita non era facile: passi per la strumentazione, i viveri e il paracarro del mistero con la sua bella base di cemento, ma ci dovevamo portare addosso anche l'armamentario di guerra, il fucile Garand, l'elmetto, la baionetta, una mitragliatrice Fal e la cassetta delle munizioni.
In cima al monticciolo il Capitano parlò ancora: "posizionare gli strumenti, in bolla, e il tavolino, tra quindici minuti in riga per l'ispezione. Azione". Facemmo...
Il capo controllò, soprattutto la bolla, disse "mmmmm", prese il binocolo per scrutare intorno, poi ci guardò: "uno per volta, identificare sulla mappa quel mammellozzo lì e quel mammellozzo là, e trovare le coordinate di questo mammellozzo qui. Scrivere e non parlare, non copiare. Dieci minuti a testa per consegnare lo scritto.Azione".
Eravamo una ventina di topografi, quindi la cosa andò per le lunghe; da ultimo, il Capitano stesso misurò e segnò il punto sulla mappa.
Intascò i compiti (i risultati dei compiti sarebbero stati comunicati alla vigilia della libera uscita del sabato, e molti non sarebbero usciti...) e disse: "ritirare tutto, piantare il paracarro sotto il teodolite, tra quindici minuti in marcia.Azione".
Ecco a cosa servivano i paracarri: a testimoniare che quel punto era stato mappato, a beneficio delle  future esercitazioni dei carristi del reggimento !
Pensando a quanti paracarri saranno stati tolti dalle strade per ornare i mammellozzi della Baraggia, non si pensi ad appropiazioni indebite: i paracarri erano dell'Anas, che appartiene allo Stato, l'Esercito appartiene allo Stato, la Baraggia appartiene al demanio che appartiene allo Stato, dunque si trattava semplicemente di ... trasferimento di un bene, tra un bene e l'altro per il patrio bene !

martedì 10 gennaio 2012

Il più antico mestiere del mondo

Nella lancia c'è il mio pane
nella lancia c'è il mio vino
appoggiato alla lancia io bevo
ARCHILOCO - VII sec a.c.
Una vecchia e stupida barzelletta dice che il più vecchio mestiere del mondo è quello del venditore, inventato dal diavolo quando convinse Eva a mangiare la mela.
Non è così: primo perchè il diavolo agì senza un contratto con il Mandante proprietario del bene, secondo perchè non era iscritto all'Enasarco, e terzo perchè "vendita" significa beneficio per tutte le parti in causa, e non fregatura.

Vero è che la vendita è un'arte, o un'attitudine, antica quanto la caccia e l'agricoltura, e che ha contribuito allo sviluppo dei rapporti sociali e del linguaggio : io ho questo, se lo vuoi cosa mi dai in cambio ?

Una volta ho letto che in Siberia avevano trovato asce e coltelli fatti con una pietra ed una tecnica assolutamente inesistenti in quel luogo, ed invece identiche ad altre trovate nel cuneese.

Mi piacque pensare a uomini che di baratto in baratto, attraverso steppe e boscaglie e fiumi portarono quegli oggetti  da una parte all'altra del mondo.

Commercianti e venditori organizzarono carovane e armarono fragili navi di legno e pece, attraversando deserti e mari, a volte accolti con favore, altre volte depredati.
E poi, dopo i carri e le navi vennero i treni e le automobili... Quanti milioni di uomini hanno camminato nel mondo vendendo la loro merce o la merce di altri, come agenti o commessi viaggiatori !

Amo questo mestiere, che mi ha dato il pane ed il companatico spirituale della vita, parlando e ascoltando migliaia di persone, raccontando spesso in famiglia episodi gustosi o avventurosi.

Qualche anno fa ho dedicato questa incisione in legno ad Archiloco, soldato e poeta i cui giambi hanno attraversato i secoli perchè ci lasciano immaginare, in pochi versi, le avventure straordinarie di una vita normale.

Anch'io potrei dire:

nella borsa c'è il mio pane
nella vendita il mio vino
aggrappato al volante io guido

lunedì 9 gennaio 2012

Vu diu laic a coffi ?

Credevo di aver pronunciato bene, e invece qualcuno mi disse che, secondo lui, si diceva "e coffi" e non "a coffi".
Così mi rassegnai: non avrei mai imparato l'inglese.
Colpa mia, dicevo, perchè dopo aver imparato un vocabolo me lo dimenticavo dopo 27 secondi, colpa mia perchè ci sento male, colpa loro (degli inglesi) perchè non scrivono come parlano.
Poi un libro mi disse : non ti preoccupare, se dici una frase corta gli inglesi afferrano due o tre parole e da queste ricostruiscono il senso: basta che capiscano laic + coffi + il punto interrogativo e sei a posto.
Forte di questa certezza, lasciai perdere tutto.
Infatti sono certo che , quando avrò tempo di riprovarci, imparerò benissimo.
Of curse !

Che beddo moddicone

1976. Lavoravo per una tipografia che produceva moduli continui per calcolatori elettronici, avevo fatto inserzioni sui quotidiani e selezionato un po' di candidati per il Sud Italia. Al tremendissimo primo corso di formazione erano sopravvissuti in due, e mi aspettava una settimana di accompagnamento in zona per ciascuno dei due.

Arrivai all'aeroporto di Catania un lunedì mattina, e Paolo M****** aveva preparato la lista di visite da fare nella settimana: due giorni a Catania, poi Siracusa, Ragusa, Gela, Agrigento.
Visitare aziende, anche senza appuntamento, non era un problema, a quei tempi.
Bastava presentarsi e chiedere del "capocentro", di solito un giovane appena uscito dai corsi dell'IBM o dell'Honeywell che era sempre disponibile a ricevere quelli che stampavano moduli continui.

Lavoravamo duro durante il giorno e poi Don Paolo, che si era piccato di farmi provare le delizie della cucina sicula, mi portava in ristorantini caserecci e pittoresci.

domenica 8 gennaio 2012

Anniversari

Quest'anno sono 44 anni che ho la patente e 40 da agente di commercio.
Tradotto in chilometri, sto facendo il ritorno dal mio quinto viaggio sulla Luna.
Da ragazzino sognavo di pilotare astronavi, da giovanotto aerei, e poi mi sono accontentato di pilotare automobili.
Eccole, le mie automobili, a volte comprate usate, a volte nuove, e per ognuna di loro un piccolo ricordo-dedica.

Fiat 600, da neopatentato, comprata già usatissima. Aveva gli sportelli che si aprivano controvento....
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