giovedì 14 agosto 2014

Primo stipendio

Nell'atrio della stazione di Viareggio c'era un tabaccaio con edicola che mi conosceva, perchè andavo spesso a comprare le sigarette sciolte per il mio babbo.
Il tabaccaio prendeva 4 Mentola senza filtro da un pacchetto (dose giornaliera di mio padre) le metteva in una bustina di carta trasparente e me le appoggiava sul banco. Io pagavo le 20 lire, indugiavo un po' a mangiarmi con gli occhi le copertine dei fumetti, Topolino, Black Macigno, Capitan Miki, Nembo Kid, e poi tornavo a casa.
Ma quella volta del 1961, appena finita la seconda media, il tabaccaio mi disse "guarda che il Lucarotti cerca un ragazzo per l'estate, perchè non ti fai avanti ?".
Il Lucarotti aveva un'agenzia turistica proprio davanti al tabaccaio. Era un omone altissimo, coi capelli e baffi bianchi, e la voce roca da fumatore. Mi interrogò: che scuola fai, quanti anni hai, come ti chiami ? ah, sei il figlio del Vaselli, conosco tuo padre, se lui è d'accordo vieni qui in agenzia domattina alle otto che ti spiego il lavoro, la paga è 500 lire a settimana, la domenica non si lavora.
Il mio lavoro consisteva nell'assistere i clienti che arrivavano con i treni e venivano al bancone dell'Agenzia a ritirare le chiavi, se avevano affittato un appartamento, o solo per avere informazioni stradali per raggiungere la pensioncina o la casa privata dove avevano prenotato una camera, e dove avrebbero condiviso per le vacanze il televisore, il divano, la tavola ed il bagno con la famiglia ospitante.
Arrivavano due treni al mattino, da Firenze e da Roma, e quattro al pomeriggio, da Milano, Torino e ancora Roma e Firenze.
Fra un treno e l'altro c'era una lunga pausa, ma non mi annoiavo, perchè sotto al bancone avevo scoperto una quantità incredibile di Settimane Enigmistiche, con i cruciverba di Bartezzaghi (padre) da risolvere e un'infinità di barzellette.
500 lire del 1961 equivalevano a circa 20 euro di oggi, ed ero felice e orgoglioso di consegnarle a mamma, come faceva mio padre con la sua busta paga.
E quando alla fine dell'estate mia mamma mi comprò il primo paio di blue jeans toccai il cielo con un dito.
Ormai ero diventato un ometto, addio pantaloni corti !

sabato 12 luglio 2014

Ri-clacson, gomme e freni

Clacson, gomme e freni.

Io non suono mai il clacson. Praticamente.
Al punto che, se mi capita di premerlo mentre sto spostando qualcosa dentro la macchina, faccio un sobbalzo e mi guardo intorno per vedere chi ha suonato.
Guido da 44 anni, ho avuto una ventina di macchine ma sempre con il clacson di serie, quello che fa un beeeep miserello.
Mi sarebbe piaciuto, ogni tanto, avere un clacson impositivo, fuori standard, personalizzato. Ma non ho mai avuto il tempo di sceglierlo/acquistarlo/farlomontare. E poi, visto che non lo uso mai, a che mi sarebbe servito realizzare questo sporadico desiderio ?
A me le gomme durano almeno 70.000 chilometri.
Non faccio mai partenze brucianti, non sgommo, non le faccio stridere in curva, per questo non si consumano. Mia moglie e mia figlia hanno sempre sofferto il ma d'auto, perció mi sono abituato a guidare come gli autisti dei Lord: senza scosse, senza impennate, liscio, come l'olio. E le gomme durano.
Io non freno mai.
Ricorrere al freno mi da fastidio, psicologicamente. Trovo naturale decelerare con il freno motore, scalando le marce, o mollando per tempo l'acceleratore.
Cosí arrivo alle curve giá alla velocitá giusta, a volte applico solo un colpettino, una sfioratina al pedale del freno, e poi accelero durante la curva. Perfino quando mi devo fermare del tutto, a uno stop o a un semaforo, ci arrivo giá pianino.
Anche con la macchina attuale sono arrivato a 140.000 chilometri e il manutentore mi ha detto che ho consumato si e no la metá delle pastiglie dei freni.
Eppure, con tutto ciò, non vado piano, nei percorsi impiego gli stessi tempi che indica il navigatore, che é tedesco e calcola secondo le spericolate medie degli spericolati guidatori tedeschi.

giovedì 3 luglio 2014

Creazione Galleria 2

Creazione di una galleria di dipinti.
Post di prova numero due.

Viene presentata un'opera, ipoteticamente con la descrizione poetica del lavoro, in testo biligue.
Il testo deve essere necessariamente breve, o facilmente riassumibile in poche righe.

Didascalia
A conclusione post, c'è il link alla pagina-galleria che raccoglie le opere simili, e l'indirizzo ritavaselli@gmail.com per acquistare
NOTE TECNICHE: fatto il post, si deve prendere la stessa immagine con Elements, allargare il quadro immagine, digitare il "riassunto" , pubblicare come "aggiorna" sulla pagina-galleria

giovedì 19 giugno 2014

La mia pozia

E Danilo vide che ció era buono, e disse "sia la Pozia".
E la Pozia fu.
In principio c'era l'esigenza di produrre in casa un cappuccino come al bar, caffé e latte con la schiumetta.
Per il latte furono utilizzate molte tecnologie, a partire da un minifrullino a batteria, poi con il vapore della prima Mokona che entró in casa, per trovare poi la soluzione migliore con il classico, tradizionale schiumalatte.
Per il caffé, si inizió con la moka, seguita poi dal liofilizzato decaffeinato, un po' per velocitá di esecuzione ed un po' per limitare le dosi giornaliere di caffeina.
Infine, per il dopocena, si sostituí il caffé con l'orzo solubile, pratico e ideale per preparare una bevanda calda per scivolare dolcemente verso il sonno.
Nel tempo, al semplice orzo fu aggiunta la cicoria, dal sapore vagamente cioccolatoso, e per finire si giunse alla miscela ideale: orzo e cacao, in proporzione 3 a 1.
La bevanda fu battezzata Pozione, fin quando nostra figlia chiese, con linguaggio giovanilista : Babbo, mi fai la Pozia ?
Tutti in famiglia chiedono la Pozia: Grande e calda al mattino, piccola e calda nei pomeriggi freddi d'inverno, fredda d'estate.
Adesso, la piú grandicella delle nipotine l'ha ribattezzata Latte Nonno (da bere in tazza) per distinguerla dal Latte Mucca (da bere nel biberon).
Vedremo cosa accadrá nel futuro, se lei adotterá il termine standard Pozia o se tutta la famiglia adotterá il termine Latte Nonno.
Vi terró al corrente, carissimi ed innumerevoli lettori.

And Danilo saw that it was good, and said, "Let there be Pozia ." It was the Pozia . In the beginning there was the need to produce a cappuccino at home and in bars , coffee and milk with froth . For milk were used in many technologies , starting with a small battery-powered blender , then with the steam of the first Mokona that went into the house , then to find the best solution with the classic, traditional schiumalatte . For the coffee , they started with mocha , followed by the lyophilized decaffeinated , a little ' for speed of execution and a bit ' to limit the daily doses of caffeine. Finally, after dinner , the coffee was replaced with barley soluble , practical and ideal for preparing a hot drink to glide gently to sleep. Over time, the simple barley was added chicory, with a vaguely chocolatey , and finally it came to the ideal mixture : barley and cocoa, in proportion 3 to 1. The drink was baptized Potion , until our daughter asked, young language : Father , make me the Pozia ? Everyone in the family ask the Pozia : Big and warm in the morning, small and hot in the afternoons cold in winter, cool in summer. Now, the big girl most of the nieces renamed it Grandfather milk ( to drink in the cup ) to distinguish it from cow milk ( to drink in the bottle ) . We will see what will happen in the future if she will adopt the standard term Pozia or if the whole family will adopt the term Milk Grandfather . I will keep you in the know, dear readers
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