Fiat 626

Gli ultimi FIAT 626 uscirono dalle catene di montaggio nel 1948, ma per molti anni ancora questo piccolo camion sarebbe stato il compagno fedele di tanti giovani imprenditori, tesi a costruire per se e le proprie famiglie un avvenire migliore dopo le distruzioni e le miserie della guerra.

Per me era il camion più bello del mondo, perchè era del mio babbo Varo, perchè era rosso e perchè trasportava di tutto, dal pietrisco alla rena, dalle tegole ai sacchi di cemento, dai mattoni alle damigiane.

A 8 anni fui ritenuto abbastanza grande da poter accompagnare mio padre e mio zio Azelio in un trasporto di pomodori, dal consorzio di Castiglion del Lago alla fabbrica di conserve di non so dove (penso dalle parti di Siena).

Della partenza non ricordo nulla, probabilmente era troppo presto, ricordo invece l'emozione di veder apparire all'improvviso il lago Trasimeno, che mi sembrò enorme, altro che il cerchietto che si vedeva nella carta geografica appesa in classe.

Per caricare e scaricare le cassette di pomodori non c'erano i pallets ed i muletti come oggigiorno, ma una catena di persone si passava ogni cassetta di mano in mano, quasi facendole volare, e l'ultimo volo era verso le mani di babbo e zio, ritti sul cassone del camion e svelti ad impilare.

Appena fatto il carico, chiudevano le sponde del cassone, montavano le sovrasponde e via a scaricare, per tornare indietro e ricominciare.

Era estate e faceva un gran caldo, era fatica e per la fatica  avevamo robusti panini imbottiti preparati dalla mamma, per tutti e tre, e un fiasco di vino rosso per i grandi. Per la sete, ci si lasciava cadere l'acqua in bocca direttamente dalle fontanelle, in competizione con le vespe.

Il Fiat 626 aveva due sedili, guidatore e passeggero, dietro ai quali era tesa una piccola amaca, per dormicchiare a turno in caso di viaggi notturni. Non aveva muso, perciò il motore era collocato tra i due sedili, ed era coperto da un cofano tondeggiante come la groppa di un cavallo e dotato di maniglia per alzarlo e fare i frequenti, necessari interventi: aggiungere olio al motore o al cambio, pulire le candele, cambiare il filo della frizione.... tutte cose affascinanti per i ragazzini !

Dunque io viaggiavo a cavallo del cofano, tenendomi alla maniglia nelle curve e ascoltando il rumore del motore per cercare di indovinare il momento esatto in cui il guidatore avrebbe cambiato marcia: bisognava infatti che spostassi indietro la gamba sinistra, per non intralciare la leva del  cambio.

Un altro gioco consisteva nel far gareggiare i miei due eroi, che si alternavano alla guida, per  vedere chi andava più forte; niente di pericoloso, naturalmente, anche perchè il 626 andava al massimo a 80 km/ora (nuovo e vuoto....). Oggi sarebbe una velocità ridicola, ma era più che sufficiente considerando che poche erano le strade asfaltate e che la prima autostrada (quella del Sole) era ancora di là da venire.

Babbo e zio fumavano tantissimo, una sigaretta dietro l'altra, ed il mozzicone veniva spento a colpettini leggeri sul coperchio di una scatolina di pasticche Valda e riposto all'interno.
Prima o poi, quel tabacco tabacco già fumato veniva messo al sole sul davanzale di una finestra e da 6 mozziconi usciva una nuova sigaretta.
Puzzava tremendamente, ma all'epoca non era disdicevole che un uomo nei giorni di lavoro puzzasse di fumo (o di sudore o di vino). All'epoca, i luminari della medicina consigliavano il fumo anche alle donne incinta.

Come non ricordo niente della partenza, così non ricordo niente del ritorno, avvenuto a notte fonda.
Sicuramente ero ubriaco di sonno e di felicità per l'avventura vissuta e probabilmente il mio babbo mi avrà portato di peso dalla cuccetta del 626 direttamente al letto.



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