La bici del Ghini

Serre di Rapolano è un paesino tutto in salita ed a quanti erano ragazzi negli anni 50 ispirava un grande amore per i campioni del ciclismo.
Amavamo gli scalatori, Coppi e Bartali naturalmente, odiavamo i discesisti come Fiorenzo Magni, perchè a volte i felloni riuscivano a raggiungere in discesa i campioni delle salite e, ignominia delle ignominie, li battevano allo sprint.

Ascoltavamo per radio le tappe del giro d'Italia e del tour de France, e gareggiavamo tra di noi impersonando i campioni.
Non avevamo biciclette, ed ognuno si arrangiava correndo a fianco di un cerchio, spingendolo e tenendolo in equilibrio con un bastoncino.
Nemmeno il cerchio era un oggetto standard: ognuno si procurava il suo.

Poteva essere il cerchione di una vecchia bici, privato del mozzo e dei raggi, o il copertone con dentro una camera d'aria (leggero e silenzioso) o il cerchio di ferro di una botticella (pesante da spingere ma facile da tenere in equilibrio).

A volte si partiva da Fonteluco, corricchiando in gruppo fino alla salita delle Fornaci dove Sandro e Franco si involavano per contendersi la vittoria. Io ero più piccolo, per cui arrivavo ultimo.
O meglio, siccome avevo fantasia da vendere, arrivavo terzo, immaginando di essere seguito a distanza dal gruppone dei gregari.

In questa pacifica realtà fece irruzione un giorno il Ghini.
Il Ghini era sui 15 anni, era lungo e magro ed aveva avuto dai suoi una vera bicicletta, nera e pesa come le bici da uomo di allora.
A 15 anni la bici poteva alimentare due tipi di sogni: giocare ancora, con più gusto, a imitare i campioni e cominciare a sognare che, di lì a poco, sulla canna della bici avresti portato una ragazza.
E se portavi una ragazza sulla bici poteva voler dire o che era tua sorella o che era una fidanzatina.

Il Ghini partiva dunque dalla stazione dei treni ed avanzava verso il paese, chino sul manubrio, composto e potente nella pedalata come un vero campione.
Quando la strada cominciava a salire, lo vedevi rizzarsi sui pedali e di lì a poco cominciare ad avanzare a zigzag, per rendere meno ripida la salita.

Ad ogni zig o zag sembrava che si fermasse in surplace, poi riprendeva slancio spingendo con forza sul pedale.
E così veniva su, fino a San Rocco ed oltre, verso la Piaggia dei Poveri ed il traguardo posto nella piazza del castello, sempre più rosso in faccia, sempre più stanco e sudato, immaginando che gli occhi di tutto il paese lo guardassero dalle finestre lungo la via.

E sognando.
Di far felici quanti ad ogni zig trepidavano in attesa del colpo di pedale che lo togliesse dal surplace.
Di far dispetto a quanti ad ogni zag si aspettavano che mettesse il piede a terra.
E forse sognando che ad una finestra ci fossero gli occhi di una ragazza, commossa dalla fatica dell'eroe e pronta ad innamorarsi.
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