Arare i campi è fatica, fatica e sapienza antica, di uomini e di bestie.
Si alzavano molto prima dell’alba. Nonna Aspasia apriva la madia per preparare la colazione ed il pane e companatico da mangiare al campo, gli uomini mangiavano e poi scendevano nella stalla al piano terra, portavano fuori gli otto buoi, caricavano gli aratri sul carro e partivano per uno dei campi da arare.
Allo spuntare del sole quattro aratri erano in altrettante porzioni di campo, tirati da quattro coppie di buoi e quidati da quattro coppie di uomini. Nonno Lello si fermava in ogni postazione, raccoglieva un sasso e lo buttava lontano, dicendo che prima di sera ogni coppia doveva arrivare al suo sasso, e per se stesso cercava di fare il tiro più lungo.
Arare è difficile. L’aratro è fissato al giogo, in mezzo ai buoi, ma il vomere deve aprire il solco parallelamente alle zampe di destra del bue di destra; per questo l’aratro ha due manici, con i quali l’aratore contrasta la tendenza del vomere ad allontanarsi dal solco precedente.
Inoltre, il vomere tirato dai buoi tenderebbe ad uscire dalla terra, per questo l’aratore fa forza sui manici spingendoli in giù e tanto più il terreno è duro tanto più è fatica.L’aratore usa due comandi che i buoi capiscono: un aahh aahh per farli andate avanti, ed un suono lungo tra la “e” e la “u” per fermarli, un po’ come la pronuncia di acqua in francese.
Affinchè i buoi vadano dritto, senza calpestare i solchi già fatti, davanti a loro sta il compagno dell’aratore, di solito un ragazzo, che cammina all’indietro e tiene in mano le due cavezze, regolando il passo delle bestie. Arrivati alla fine della porzione di campo, il vomere viene estratto dal solco, le bestie vengono fatte girare ed è il ragazzo che riporta il treno al punto di partenza, tenendo i manici dell’aratro giusto perché scivoli sulla terra senza ribaltarsi.
Così l’aratore si riposava un po’, prima di ricominciare con un altro solco.
Quando arrivava mezzogiorno, prima davano alle bestie il fieno portato sul carro, poi mangiavano, pane e prosciutto, pane e rigatino, pane e formaggio, pane e salame, pane e qualunque altra cosa, perché è il pane che da forza. E bevevano vino pretto, perché di acqua se ne beveva già tanta durante il lavoro.
E poi via, ricominciavano di lena, perché prima di sera ognuno doveva raggiungere il suo sasso.
Ad un certo punto, Nonno Lello passava nelle porzioni di campo, e se qualcuno era lontano dal sasso lo prendeva e lo spostava indietro; così, veniva il momento in cui poteva fermare il lavoro e dire a tutti “basta, ce l’abbiamo fatta”.
Tutti sapevano che avrebbe fatto così, ma tutti ogni volta ci mettevano l’anima, per raggiungere il proprio sasso, e tutti sapevano che di meglio non si poteva fare.
Finisce così questa piccola storia, e ve l’ho raccontata come tante volte me l’hanno raccontata il mio babbo Varo e mio zio Azelio, due di quei ragazzi che stavano davanti ai buoi e non vedevano l’ora di diventare abbastanza grandi e forti da mettersi dietro, a tenere il vomere dentro la terra.
Caro Sig. Danilo, il Suo racconto è davvero bello e commuovente, così simile a quello che raccontava mio nonno, anche lui aratore, e mia mamma, che da ragazza stava davanti alla coppia di buoi.
RispondiEliminaDue cose si imparano dal Suo racconto: a tirare il proprio sasso sempre avanti, il più lontano possibile e a non spaventarsi di fronte alla fatica
Grazie
Elena
GENTILE SIG. VASELLI
RispondiEliminaLEGGENDO I SUOI RACCONTI, SONO TORNATO INDIETRO NEGLI ANNI SESSANTA, QUANDO TRASCORREVO TUTTA L'ESTATE ALLE SERRE IN CASA DI MIO ZIO RENATO BIANCUCCI, MI SONO COMMOSSO, ANCHE PERCHE' HO INIZIATO A SCRIVERE UN LIBRO ED I SUOI SCRITTI QUASI COMBACIANO CON I MIEI MERAVIGLIOSI RICORDI
QUANDA NOSTALGIA E QUANDA AMAREZZA NEL VEDERE QUASI TUTTO MUTATO DAL TEMPO
IL MIO INDIRIZZO E-MAIL enzosalvucci@virgilio.it
oppure il mio b&b casaledeiformali@libero.it
grazie di aver stimolato questi meravigliosi ricordi