martedì 29 ottobre 2013

Clacson, gomme e freni.

Io non suono mai il clacson. Praticamente.
Al punto che, se mi capita di premerlo mentre sto spostando qualcosa dentro la macchina, faccio un sobbalzo e mi guardo intorno per vedere chi ha suonato.
Guido da 44 anni, ho avuto una ventina di macchine ma sempre con il clacson di serie, quello che fa un beeeep miserello.
Mi sarebbe piaciuto, ogni tanto, avere un clacson impositivo, fuori standard, personalizzato. Ma non ho mai avuto il tempo di sceglierlo/acquistarlo/farlomontare. E poi, visto che non lo uso mai, a che mi sarebbe servito realizzare questo sporadico desiderio ?
A me le gomme durano almeno 70.000 chilometri.
Non faccio mai partenze brucianti, non sgommo, non le faccio stridere in curva, per questo non si consumano. Mia moglie e mia figlia hanno sempre sofferto il ma d'auto, perció mi sono abituato a guidare come gli autisti dei Lord: senza scosse, senza impennate, liscio, come l'olio. E le gomme durano.
Io non freno mai.
Ricorrere al freno mi da fastidio, psicologicamente. Trovo naturale decelerare con il freno motore, scalando le marce, o mollando per tempo l'acceleratore.
Cosí arrivo alle curve giá alla velocitá giusta, a volte applico solo un colpettino, una sfioratina al pedale del freno, e poi accelero durante la curva. Perfino quando mi devo fermare del tutto, a uno stop o a un semaforo, ci arrivo giá pianino.
Anche con la macchina attuale sono arrivato a 140.000 chilometri e il manutentore mi ha detto che ho consumato si e no la metá delle pastiglie dei freni.
Eppure, con tutto ciò, non vado piano, nei percorsi impiego gli stessi tempi che indica il navigatore, che é tedesco e calcola secondo le spericolate medie degli spericolati guidatori tedeschi.

giovedì 3 ottobre 2013

Il mestiere dell' Agente di commercio

Scrivo come al solito, un po' per ingannare il tempo quando non ho niente da fare, un po' per ricordarmi, quando saro' vecchio, di qualcosa che ho vissuto e pensato.
Spero solo di non annoiare le tre o quattro persone che, coraggiosamente, mi leggono.
Il Venditore (detto Agente di Commercio per l'erario), per definizione e' uno che sorride sempre e non si lamenta mai. Chi vorrebbe comprare qualcosa, cioe' investire, da uno che non mostra ottimismo ?
Un cliente ti fa fare chilometri perche' gli interessa qualcosa, glielo spieghi, dice che e' ottimo ma ci deve pensare ? Sorridi e gli dici " ok, ci pensi, sono a disposizione".
Un altro si da arie da manager decisionista ma poi dice che il Capo vuole rimandare all'anno prossimo ? Sorridi e gli dici "Ok, richiamo tra un anno".
Di questi tempi poi, mi devo sorbire come preambolo ad ogni incontro, la tristezza infinita della difficolta' di incassare, della scarsita' di affari, e magari anche del "piove governo ladro".
Oggi, all'ennesimo lamentoso cliente che mi ha fatto fare chilometri per niente, gli ho detto, senza sorridere, "io sto peggio di Lei, vivo di provvigioni, e se non vendo pago le spese di viaggio di tasca mia".
Ha fatto una faccina stupita e costernata "ma come, Lei non ha uno stipendio fisso ?"
No caro, l'Agente di commercio, o se preferisce lo chiami venditore, o piazzista, e' una persona che viene ingaggiata da una ditta a costo zero, magari viene dotato di un biglietto da visita in cui lo si definisce pomposamente Consulente Commerciale, e sara' pagato con una percentuale sul venduto, dopo l'incasso, lavorando quindi a sue complete spese e rischi, e senza cassa integrazione, se la ditta chiude, e senza TFR a fine carriera.
In compenso le tasse le paga tutte, perche' le provvigioni si fatturano, e quindi non si scappa.
Mi inorgoglisce la parola Autonomo, che per me significa aver provveduto alla mia famiglia con le mie sole forze, senza nessun padrone cui obbedire ma chiedere contemporaneamente protezione.
Mi fa imbestialire invece, l'accostamento automatico tra le parole Autonomo e Evasore.
Cosi' oggi, con una frase senza sorriso, mi son preso licenza di far capire, al mio cliente, che Lui, con il suo bell'ufficio, i suoi mobili di mogano, le sue librerie di Codici ed Enciclopedie, i suoi 10 collaboratori e le sue 2 segretarie, e le sue lauree da Dottore Commercialista nonche' Avvocato, a me non e' neanche degno di legarmi le scarpe. E se lui piange perche' deve fare parcelle piu' basse e la situazione politica e' ingarbugliata, figurati io, che ho perso tempo e speso di benzina e autostrada per niente.
Adesso chiudo e vado a visitare un altro Dottore.

mercoledì 4 settembre 2013

Amor di Patria

Quand'ero alle Elementari, in ogni classe c'era la foto del Presidente della Repubblica e la cartina dell'Italia, e ogni sabato i maestri ci mettevano in fila nel corridoio. Uno di loro portava la bandiera, e cantavamo in coro l'Inno di Mameli.
Sull'Attenti, orgogliosi di essere Italiani, orgogliosi dei nostri avi, da Cincinnato a Giulio Cesare, da Dante a Cristoforo Colombo, fino a Garibaldi, agli studenti di Curtatone e Montanara, ai nostri nonni che avevano vinto la prima Guerra Mondiale.
Del dopo... non si sapeva niente, erano cose che solo gli adulti sapevano.
Negli anni sessanta il sentimento dell'Amor di Patria cominciò a sparire.
Dovunque, il potere più grande è quello della comunicazione, e sono sempre poche decine di persone che gestiscono questo potere, assecondate da alcune migliaia di scrittori, filosofi, professori, giornalisti, attori in genere della cultura.
Succede così da sempre. In ogni Popolo e in ogni momento della storia umana, il 5% delle persone riesce a cambiare il modo di pensare, i costumi ed il comune sentire di tutti gli altri.
E così, negli anni sessanta, mentre la Democrazia Cristiana continuava a fare affidamento sulle prediche dai pulpiti, il Partito Comunista Italiano fu più svelto a comprendere la forza dei nuovi mezzi di comunicazione e ad egemonizzare la cultura.
L'Inno di Mameli diventò, nel comune sentire, una marcetta brutta nella musica e retorica nelle parole, vuoi mettere Bella Ciao !
E la Bandiera Tricolore diventò il simbolo delle guerre del Re, dei Padroni e dei Fascisti, vuoi mettere la Bandiera Rossa che porterà la libertà a tutti i popoli del mondo !
Del resto, anche a livello politico, in quegli anni il tricolore era solo nella fiamma del Movimento Sociale, appunto erede del fascismo, e nello stemma del Partito Liberale, giusto 4 gatti con un leader triste e dal nome triste : Malagodi.
Pian pianino, si arrivò al punto che se qualcuno esponeva il tricolore sul balcone si beccava del fascista, l'Inno di Mameli era a malapena suonato alla sfilata del 2 giugno o alle Olimpiadi o alle partite della Nazionale,  e il pubblico non lo cantava nè faceva silenzio, i giocatori continuavano a sgambare, sputacchiare e masticare gomma.
Poi ci fu un incredibile cambiamento, un'esplosione collettiva di Amor Patrio: nel 1982 l'Italia vinse il campionato del mondo di calcio, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini cantò sull'Attenti, sventolò la bandiera, e siccome era un ex Partigiano nessuno potè dargli del fascista.
Potenza di un comunicatore ! Potenza dei mezzi di comunicazione ! In quattro e quattr'otto il popolo italiano tornò a rispettare la bandiera e a cantare l'Inno, trovandolo perfino bello.
E l'Amor di Patria fu catturato come "valore positivo" da chi gestisce la comunicazione, commerciale e politica.
Infatti, più avanti, Berlusconi creò Forza Italia e mise il tricolore nel simbolo, e dopo di lui altri partiti fecero lo stesso, perfino il PD ha rinunciato alla bandiera rossa per tingere di tricolore la sua sigla.
Da sentimento sporadico, limitato allo sport e alla politica, l'Amor Patrio tornò sentimento popolare nel 2006, quando i nostri calciatori vinsero ancora una volta il Campionato Mondiale di Calcio.
Gli Italiani in Patria e all'Estero sventolarono il tricolore fuori dai finestrini delle auto, giovani smaliziati e plurilaureati non si vergognarono di cantare a squarciagola le parole obsolete e bugiarde dell'Inno: siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò: SI !!!
E se non cantavano l'Inno, cantavano "L'Italiano" di Toto Cotugno.
Ma anche l'Amor di Patria subisce alti e bassi, come tutti i sentimenti, a seconda che i padroni della comunicazione ci facciano guardare le cose dal punto di vista del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
In questi tempi, molti Italiani dicono di vergognarsi del proprio Paese, ed elencano tutti i motivi di vergogna: mafia, corruzione, disorganizzazione, volgarità, degrado...
Per farci vedere il bicchiere mezzo vuoto, sono arrivati a far cantare il povero Toto Cotugno a Sanremo con la faccia triste, appollaiato su un trespolo come un vecchio pennuto, con il coro dell'Armata Rossa alle spalle, immerso in una luce da obitorio, e cosi' "L'Italiano" da canzone scanzonata e' diventato un canto greve, da funerale.
Alle ultime elezioni, qualcuno ha promesso un'Italia più desiderabile, tutto il contrario di quella di cui siamo spinti a vergognarci.
Ne deduco che, in caso di vittoria, i padroni della comunicazione siano già pronti a far vedere al popolo il bicchiere mezzo pieno, ed allora, di punto in bianco, si scoprira' che non esiste degrado ma solo testimonianze di un passato che non vogliamo più, che non esiste la volgarita' ma solo la schiettezza popolana, che la disorganizzazione e' in realta' il modo polifunzionale di approcciare contemporaneamente tutti gli aspetti di ogni questione, che la corruzione non esiste più e quindi magistrati e finanzieri smetteranno subito di intercettare e inquisire, e la mafia..... Beh, basta spiegare nelle scuole di ogni ordine e grado che la mafia è una brutta cosa e nel giro di qualche decennio la mafia si estinguerà per mancanza di seguaci.
Ma questo è Amor di Patria politico, non scalda veramente il cuore di tutti, solo di quelli che seguono la politica "da dentro".
Per una nuova esplosione popolare, ci vuole che l'anno prossimo Napolitano voli in Brasile, al alzare la Coppa del Mondo, e l'Amor di Patria gonfiera' di nuovo il petto di tutti gli Italiani.

giovedì 29 agosto 2013

Compleanno

Tra poco compirò 65 anni.
Non è un dato particolarmente significativo.
Sarebbe più impressionante dire: tra poco compirò 13 lustri.
Si potrebbe anche dare più solennità al dato, dicendo: sono nato nella prima metà del secolo scorso.

Ecco, così l'informazione diventa più solenne, meritevole di rispettoso ossequio.
Mi sto preparando alla festicciola in famiglia.
Come regalo più bello, ci saranno le persone che amo, mia moglie Rita, mia figlia Valentina, le mie nipotine Beatrice e Alice, mancherà all'appello solo mio genero Pawel, assente giustificato per motivi di lavoro.
Riceverò altri regali, a sorpresa.
Spegnerò 65 candeline con un solo soffio (o tenterò di farlo...).
Farò un discorso, di ringraziamento per ciò che ho avuto dalla vita e di augurio per ciò che vorrei ancora.
Soprattutto l'augurio mi crea problemi, sono così tante le cose che vorrei che è impensabile riuscire a esprimerle tutte prima che le bollicine si fermino nel bicchiere.
Un augurio mi sento di scriverlo già adesso sul blog, proprio in considerazione del fatto di essere nato nella prima metà del secolo scorso:
vorrei che finisse il turpiloquio,
in televisione, sui giornali, nei libri, su internet,
per strada,
al ristorante come nella tavola calda,
sui treni, aerei e navi,
nelle chiacchere oziose tra conoscenti,
nelle scuole soprattutto,
di ogni ordine e grado.
Vorrei che il linguaggio da caserma,
uscito dalle caserme 40 anni fa,
tornasse come minimo nelle caserme,
e da lì sparire.

giovedì 11 luglio 2013

Storia di una vecchia storia

Tra il 1100 e il 1200, l'Ospedale di Santa Maria della Scala, con sede a Siena, possedeva vasti terreni coltivati tra il senese ed il grossetano, ed i frutti di queste terre venivano gestiti con il sistema delle Grance.

Sui terreni, c'erano i Poderi, dove vivevano gli agricoltori e le loro famiglie, e dove grano, olive e uva venivano ammassati per essere trasferiti alle Grance.
La Grancia era un edificio fortificato, che faceva un tutt'uno con la città-castello; qui si producevano farina, olio e vino, e qui venivano custodite queste ricchezze.
Il Podere di Fonteluco riforniva la Grancia delle Serre di Rapolano, ed era al centro di un terreno grande e fertile.
Ho trovato nel sito della società Inlink una ricostruzione grafica del Podere di Fonteluco di allora, ed ho scoperto con emozione che l'edificio è rimasto esattamente uguale per 750 anni.
Almeno dal 1739 in poi è documentato che i miei antenati, Vaselli, erano i coltivatori del podere, e non è detto che non l'abitassero anche prima...
Guardando la ricostruzione, voglio descrivere com'era abitato l'edificio; penso infatti che dal medioevo ai giorni dei miei nonni e del mio babbo non ci siano stati grandi cambiamenti.

1 - Nella torretta c'erano le stanze del Capoccia, sua moglie, i figli piccoli, ed il primo figlio maschio (se sposato) con moglie e figli. La freccetta blu indica la stanza dove sono nato io...
2 - Dietro ai due finestroni c'era la grande cucina comune, con il focolare, il tavolo, l'acquaio, la madia; tutti gli abitandi del podere si riunivano qui per mangiare, la sera, e dopo cena restavano a discutere o semplicemente a veglia, fino a che d'inverno giungeva l'ora di spegnere il focolare, raccogliere le braci negli scaldini e portarli nelle camere da letto.
3 - Il sottotetto, alto e dal robusto solaio, conteneva scorte preziose: salumi, noci, mandorle, cavoli, cipolle, sacchi di farina, giare d'olio, damigiane di vino, e qualche secolo dopo patate. E un agguerrito esercito di gatti, per tenere lontani i topini di campagna.
4 - In quest'ala del podere, dopo i finestroni della loggia, c'erano le stanze dei fratelli del Capoccia e dei figli sposati del Capoccia (secondo in poi), con rispettive spose e figli piccoli.
5 - La tettoia era la rimessa per i carri ed il calesse, e per stivare una scorta di fieno asciutto per le bestie, al riparo dalle intemperie.
6 - Le stalle per i buoi di razza chianina, bestie possenti e instancabili nel tirare l'aratro e i carri, per qualche somaro addetto a tirare i barrocci, per un paio di caprette, indispensabili per allattare i bambini quando qualche mamma non aveva latte a sufficienza, per il cavallo, almeno uno, che tirava il calesse del Capoccia quando andava a rendere conto ai superiori o per portare le donne anziane alla messa in paese.
7 - L'aia, spiazzo dove si batteva il grano per liberare i chicchi, e poi, eliminata la paglia e la pula si riempivano i sacchi. Nell'aia i bambini giocavano, e nell'aia si ballava, d'estate, invitando gente di fuori per divertirsi e perchè i giovani e le giovani facessero  ... conoscenze.
Sullo sfondo dell'aia, oltre le due grandi arcate, c'era il deposito dei sacchi di grano e del raccolto di olive e uva, in attesa che i carri della Grancia venissero a pesarli e a portarli via.
8 - Ecco la fabbrica, luogo per riporre ogni attrezzo, dalle zappe agli aratri, dalle falci ai bigonci, ai canestri... E tutto il necessario per le riparazioni: martelli, seghe, chiodi, mole, morse.
Qui c'erano anche i torchi e le macine per fare il vino e l'olio e la farina destinati al podere.
9 - Ecco lo stallino dei maiali, animali troppo preziosi per essere ricoverati ... lontano dal naso. E c'era anche la stia dei polli, e le gabbie dei conigli.
10 - Cosa c'era qui, esterno al podere e non comunicante ? C'era il dormitorio per i giovanotti e gli uomini non sposati, e magari anche per qualche lavorante. Le figlie grandi ma non sposate dormivano nelle stanze di famiglia, e la sera, finita la veglia, il Capoccia chiudeva i tre portoni del muro di cinta e liberava i cani...
11 - Il muro di cinta era tipico delle villae romane. Costituiva una difesa contro i ladri e gli sbandati in un'epoca in cui gli uomini del podere provvedevano da soli a difendere i loro beni, armati di picche, asce e forconi, e probabilmente fu abbattuto in tempi molto recenti.


Ho trovato questa immagine per chiudere il post. Mostra come si vestivano i nostri antenati, in un'epoca in cui il vestiario era una specie di divisa che identificava il mestiere che facevi o la gilda cui appartenevi.

Spinoza e Leibniz

Non ho mai amato la filosofia, a causa della boria dei filosofi, che amano sopravvalutare la loro sapienza fino a scrivere per filo e per segno l'essenza dell'anima degli uomini e l'essenza stessa di Dio., e come si dovrebbe governare il mondo. Ciononostante, qualche buona cosa, a furia di scrivere, l'hanno lasciata in eredita'.
E questo "qualcosa" m'è rimasto in mente, quando da studente liceale cercavo di digerire le pagine dei testi di filosofia con l'unico scopo di passare l'esame. Sentite queste.
Leibniz (tedesco, matematico, scienziato, logico, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato e bibliotecario vissuto nella seconda metà del 600) disse: "La cultura rende l'uomo libero dal lavoro".

sabato 25 maggio 2013

La storia infinita di Robin Hood


Ad un certo punto, Robin Hood decise che non era giusto che i ricchi fossero ricchi. Si nascose nella foresta e depredo' il primo ricco che passava da quelle parti.
Il suo ragionamento iniziale era semplice e lineare: poiche' i ricchi sono tali perche' tassano e tartassano i poveri, io rubero' ai ricchi per distribuire ai poveri.
Naturalmente, per poter depredare i ricchi protetti da scorte, dovette dotarsi di una struttura, e costitui' gli Allegri Compagni della foresta.
I ricchi si diedero da fare per spremere ancora di piu' i poveri, Robin Hood si diede da fare per depredare ancora di piu' i ricchi e poi andava nei villaggi con gli Allegri Compagni, a distribuire e festeggiare tutti insieme con polli e maiali. I poveri erano felici, ma il giorno dopo ecco che ripassavano i ricchi prepotenti, a ritassare e ritartassare.
I poveri si resero conto che alla fin fine, gli unici che stavano bene erano gli Allegri Compagni, e cosi' mollarono tutto, e divennero tutti Allegri Compagni.
Catastrofe.
Nel giro di poco, i ricchi non poterono piu' riscuotere tasse, diventarono poveri e si unirono agli Allegri Compagni nella foresta.
Poiche' nessuno piu' coltivava e allevava polli e maiali, le monete e i gioielli accumulati non servivano a niente. Immigrati da mandare nei campi a lavorare non ce n'erano, e cosi' alla fine gli Allegri Compagni dovettero tornare alla vita dei campi, mandando Robin Hood a quel paese.
Fu un periodo turbolento.
"Hai preso un campo migliore del mio, non e' giusto!"  "Sei tu che non sei bravo come me a coltivare". "Le tue galline fanno piu' uova delle mie, dividiamo!"  "Col cavolo, ti sono nati piu' maialini che a me, e non abbiamo diviso"  "Il villaggio piu' a monte del nostro consuma troppa acqua dal fiume e noi non possiamo irrigare i campi, stabiliamo delle leggi!"
Si, furono stabilite delle leggi, furono nominati dei responsabili che le facessero osservare, fu deciso di tassarsi per dare un compenso ai responsabili.
I responsabili dovettero assumere un po' di personale, gente un tantino rude, per mantenere le leggi e l'ordine. Siccome l'appetito vien mangiando, i responsabili divennero Signori, le tasse furono aumentate per costruire castelli e per arredarli, poi per vestiti, cavalli, armi, gioielli. Passo' qualche generazione, finche' un giorno un giovane decise che non era giusto che i ricchi tassassero e tartassassero i poveri, si nascose nella foresta, assunse un nome leggendario, Robin Hood, e depredo' il primo riccone di passaggio, con il nobile intento di distribuire ai poveri. Ma questa storia mi sembra di averla gia' sentita .....

venerdì 17 maggio 2013

Avventura a Roccastrada

Il sole picchiava forte in quel meriggio d'estate nel cuore della Maremma, ed io a 27 anni mi sentivo il re del mondo, al volante della mia Opel Record 2000 Diesel, azzurra, con tante cromature, il cambio al volante ed un comodo divano al posto dei sedili davanti.
Quella macchina poteva arrivare anche a 135 km/ora, ma in quel momento arrancavo sulle curve in salita per arrivare a Roccastrada, con i finestrini aperti, la sigaretta in bocca, lo stetson bianco in testa e lo stomaco piacevolmente pieno.
Mangiavo sempre volentieri in quella piccola trattoria familiare a quattro o cinquecento metri di una delle infinite stradine sterrate che incrociavano la statale Aurelia, ed era difficile individuarla, malgrado la scritta sul muro davanti "qui si mangia male e si spende tanto".
Avevo posteggiato sul retro, tra una decina di altre macchine e furgoncini, mi ero lavato le mani alla fontanella e mi ero messo a sedere ad un tavolo apparecchiato sotto il pergolato, all'ombra.
Il padrone era arrivato quasi subito, reggendo in una mano un piatto con 3 o 4 fette di prosciutto al coltello ed uno spicchio di pecorino toscano, e nell'altra mano la fiaschetta del vino rosso.
Nessun saluto, ma una strizzatina d'occhio e una domanda:
- l'acqua la vuole ?
- ora no, alla fine me la porti fresca con il caffe', non mi piace allagarmi lo stomaco mentre mangio. Che c'e' oggi?
- la nonna ha fatto il cinghiale in umido
- allevato o selvatico ?
- selvatico, 140 chili, cosi' ha smesso di sciuparmi l'orto.....
Il lavoro come rappresentante di una tipografia che produceva moduli continui per calcolatori andava benissimo, e correvo su e giu' per la mia zona, tra le provincie di Lucca, Pisa, Livorno, Pistoia e Grosseto. I clienti acquisiti mi facevano propaganda per acquisirne di nuovi e avevo un gruppetto di tecnici e programmatori della Olivetti che raccomandavano il mio nome dovunque installassero una delle meravigliose Olivetti A7, un calcolatore tutto italiano che nelle piccole industrie batteva alla grande la concorrenza della IBM e dell'Honeywell.
Prendevo appuntamento, progettavo la modulistica personalizzata per ogni cliente, prendevo l'ordine e ne curavo le bozze, poi la consegna e il pagamento.
Mi aveva contattato un imprenditore di Roccastrada, vicino a Grosseto, che aveva chiesto consiglio ad un amico che era mio cliente, e cosi' avevamo fissato un incontro per quel pomeriggio.
A Grosseto andavo ogni due settimane, svegliandomi alle 5 di mattina per affrontare il traffico della statale Aurelia da Viareggio e arrivare alle 8 e mezzo fresco come una rosa.
Quella mattina avevo fatto una visita a Cipolletti, che era il responsabile informatico del consorzio agrario, e si affannava a far sopravvivere un vecchio UR IBM. Con lui si parlava camminando nello stanzone che ospitava il calcolatore, da una perforatrice di schede agli scaffali che ospitavano le matrici, dalle stampanti a catena fin dentro il cuore del mostro, pieno di fili e diodi. Cipolletti aveva sempre 4 o 5 cacciaviti nel taschino del camice, pinze pinzette e nastro isolante nelle tasche, e amava raccontare le sue silenziose battaglie con UR.... Tre giorni fa mi ha fatto.... Invece l'altro ieri.... Ieri sera invece....
Poi avevamo dato un'occhiata al magazzino delle scorte di moduli, aveva comprato qualcosa e ci eravamo salutati: ci vediamo tra un mese, amico mio.
E dopo ero andato a trovare il direttore dell'Eurovinil, bella ditta che produceva articoli di plastica, giusto per una fatturina non pagata di due mesi prima.
Per concludere la mattinata ero andato a trovare il padrone della Mabro, grande azienda che produceva abiti da uomo, piuttosto costosi. Era stato forse il mio primo cliente a Grosseto, mi aveva ordinato i moduli per le fatture, che la mia ditta consegno' in ritardo rispetto all'impegno che avevo preso. Ricordo che mi affronto' furibondo, dicendo che negli affari non si devono prendere impegni che non si possono mantenere, e che non si devono dire bugie.
Gli risposi chiedendogli se, per mettere in piedi dal niente quella sua azienda, non avesse mai raccontato bugie ai clienti, pur di portare a casa un ordine. Mi guardo' stranito, perche' non era abituato ad essere rintuzzato a casa sua, poi scoppio' a ridere e da allora potevo andare a trovarlo quando volevo, senza appuntamento. E quella mattina appunto ero andato perche' la ditta aveva inventato un tipo di blocco per copia commissioni elegante e funzionale, e volevo che lo acquistasse per i suoi venditori.
Ed eccomi a Roccastrada, puntuale alle tre, posteggio e l'imprenditore mi viene incontro a mano tesa. E' uno di quelli che si e' fatto da solo, e per prima cosa mi porta a vedere la fabbrica di camicie, i magazzini, il reparto taglio, le manovie delle donne che cuciono, e poi il finissaggio, la stiratura e la messa in scatola. Poi torniamo nel suo ufficio, che e' anche il laboratorio artistico, e finalmente entriamo nella stanza della ragioniera, con l'Olivetti A7 nuova fiammante al centro. Ma la ragioniera ha un faccino costernato e si torce le mani, dice che ieri la macchina funzionava, poi al mattino e' venuto il tecnico per l'ultimo collaudo, e' andato via alla mezza spegnendo la macchina e ora lei da mezz'ora tenta di lanciare il programma di fatturazione ma la macchina resta immobile, come morta ! Alzo il coperchio e vedo subito il problema. I tecnici dell'Olivetti sono dei geni dell'informatica, percio' e' normale che dopo aver fatto un collaudo si portino via il loro loop, senza rimettere al suo posto quello del cliente. Apro i cassetti, trovo i loop, scelgo quello delle fatture e lo metto al suo posto. Voila', la macchina e' a posto, dico alla ragioniera che non si dimentichi mai di mettere i loop al loro posto prima di lanciare i programmi, e anzi di farsene mandare una scorta, perche' si rompono spesso. Stampiamo tre o quattro fatture su carta bianca, poi le tratte, le schede cliente, il registro dare avere e quindi tiro fuori la riga speciale e quoto le distanze tra le scritture in decimi e sesti di pollice. E' un lavoro delicato, perche' l'Olivetti fa i programmi secondo degli standard, ma ogni cliente ha le sue esigenze, pratiche ed estetiche, e quindi io faro' i progetti dei moduli, discutendo con il cliente, e poi diro' al tecnico come deve modificare i programmi. Stavolta e' un lavoro lungo perche' l'imprenditore e' un creativo, vuole i suoi marchi sulle fatture, vuole anche una foto di Roccastrada in colore molto sfumato al centro del modulo..... Alla fine del lavoro faccio il preventivo, mi firma l'ordine, vorrebbe che mi fermassi a cena ma declino, ormai il pomeriggio e' finito ed io ne ho di strada per tornare a casa. E come al solito arrivero' tardi, staro' un po' in compagnia della mia giovane moglie, poi a nanna per la solita breve notte: sveglia alle 5, disegnare le bozze del camiciaio al tecnigrafo, compilare i moduli di lavorazione degli ordini presi, aggiornare le schede clienti, imbustare, lavarsi, fare colazione e ripartire, per un'altra giornata da un' altra parte della Toscana, con la mia giovane moglie che mi saluta, allora come ora, dicendo: Sprizzi Sprazzi non si arrende, dove va qualcosa vende.....

venerdì 3 maggio 2013

Carta a lettura facilitata

Eccola. Lunghe strisce di carta bianca, con righe per facilitare la lettura e i forellini sui lati per essere trascinata dalle stampanti.
Una trentina d'anni fa, l'Elaboratore Elettronico divenne il Re delle Aziende.
Dati su dati affluivano nelle sale di elaborazione, dette Centri Meccanografici, dove stuoli di impiegati li digitavano dandoli in pasto al Re Elaboratore; Lui ne ricavava statistiche, ordini, buste paga e tutti quei moduli che servivano per far girare le informazioni dentro e fuori dall'azienda.  Principalmente ne ricavava statistiche, che tramite le stampanti meccanografiche venivano stampate su carta a lettura facilitata, e distribuite ad altri impiegati di altri settori dell'azienda.
La FIAT aveva decine di Elaboratori, centinaia e centinaia di stampanti, e stampava milioni di fogli a lettura facilitata: il pacco da 2.000 fogli veniva estratto dalla scatola, messo dentro la stampante meccanografica, all'uscita i fogli erano impacchettati e affidati ai fattorini per il recapito ai vari uffici.
Qui venivano letti (almeno una volta...) dagli impiegati, e poi accatastati lungo le pareti dell'ufficio, per eventuali, improbabili, future necessità; quando vennero di moda gli uffici con le pareti di vetro, questi pacchi di carta impilata erano l'ambitissimo e unico modo per avere un po' di privacy !
Ovviamente la gara di appalto per la fornitura della carta a lettura facilitata valeva un mucchio di soldi, e le tipografie combattevano all'ultimo centesimo per presentare l'offerta vincente.
Come rappresentante di una tipografia, avevo vinto le gare degli ultimi 3 anni, ma nel 1984 sentivo di non avere i prezzi adeguati per vincere. Che fare ?
Da tempo le cartiere producevano carta riciclata : era grigiastra, ruvida, porosa, ma costava poco e andava bene per farne rotoli di carta asciugamani, o carta igienica, o carta da imballaggio.
Con i tecnici della mia tipografia, convincemmo una cartiera a tingere di verdolino la carta ricilata grigia, e a ... "lisciarla", cospargendola di uno strato sottilissimo di cera; stampammo questa carta con righe azzurrine e voila', potevamo presentare una offerta di carta a lettura facilitata ad un prezzo di almeno il 30% piu' basso degli altri !
Naturalmente fui convocato immediatamente dall'Ufficio Acquisti, per fornire spiegazioni, e credo di aver fatto allora la mia migliore performance da venditore.
La presi alla larga, descrivendo i danni che il pianeta stava subendo a causa della deforestazione, descrivendo lo spreco enorme della preziosa cellulosa, fino ad arrivare all'obiettivo: questa, Signori, e' carta per stampare statistiche, fa risparmiare un bel po' di soldi, comprandola mostrerete la vostra sensibilita' ai problemi dell'ambiente.
E cosi' la Fiat compro' la Carta a Lettura Facilitata Riciclata !
I problemi, per me, cominciarono dopo le prime consegne, sottoforma di contestazioni telefoniche assai vivaci da parte degli operatori alle stampanti: la carta si strappa nelle stampanti perche' e' fragile, si accartoccia perche' e' molle, e via via crescendo, qualcuno arrivo' a dire che puzzava !
Mi precipitavo dai contestatori, con il timore di aver fatto uno sbaglio tremendo e di essere radiato dall'albo dei fornitori, e cercavo una possibile soluzione, chiedendo suggerimenti agli stessi operatori. Accadde allora un fenomeno strano: in ogni Centro Meccanografico ci fu qualche operatore geniale che escogito' un modo per far funzionare la falsariga riciclata, me lo mostro'con orgoglio affinche' diffondessi la lieta novella negli altri Centri, ed il ... gioco mi permise di portare avanti il contratto per tutto l'anno. Qualcuno scopri' che mettendo i pacchi di carta vicino ai termosifoni, l'umidita' evaporava, e la carta funzionava bene (diciamo che funzionzva meglio...) quando veniva messa nelle stampanti. Qualcuno scopri' che spruzzando acqua sul pacco la carta prendeva umidita', e quindi funzionava meglio. Un altro scopri' che alzando la stampante di mezzo metro con delle pedane la carta aveva piu' spazio per ripiegarsi dopo la stampa, e cosi' non si accartocciava. Ma la soluzione piu' geniale venne da un operatore di Cassino, il quale scopri' che la catenella degli sciacquoni poteva essere incerottata dentro la stampante in modo che sfiorasse la carta in uscita, costringendola a piegarsi a soffietto e privandola della carica elettrostatica. Geniale ! Mi affrettai a divulgare l'invenzione, e dovunque fu adottata. Credo che quell'anno la FIAT abbia dovuto sostituire una quantita'abnorme di catenelle da sciacquone, misteriosamente sparite dal loro luogo di utilizzo... Comunque, come detto, il contratto ando' a buon fine. E l'anno dopo ? L'anno dopo le centinaia di stampanti meccanografiche furono sostituite da qualche decina di velocissime stampanti laser, che non potevano assolutamente lavorare con carte riciclate, ed il numero di fogli stampati si ridusse a meno di un quinto, perche' negli uffici installarono i terminali video: niente piu' pacchi di statistiche su carta, ma schermate di dati. E centinaia di operatori dei centri meccanografici e di fattorini interni furono prepensionati o adibiti ad altre mansioni. Il progresso e' come la pioggia: e' un bene che ci sia, ma inevitabilmente a qualcuno rompe le scatole.

giovedì 28 febbraio 2013

Fulmine assassino

Alle elementari ci insegnavano a temere le bombe e i fulmini.
Riguardo alle bombe, in ogni classe della scuola c'era un manifesto, con le immagini di alcuni tipi di bombe a mano, bombe d'aereo e mine, ed una volta all'anno il Brigadiere dei Carabinieri veniva a spiegare come evitare incidenti nel caso avvistassimo una bomba: assolutamente non giocare con la bomba, allontanarsi camminando all'indietro, gridare per attirare l'attenzione degli adulti.
Grazie a questi insegnamenti, tutti i bambini camminavano con gli occhi rivolti a terra, ognuno sperando di scoprire una bomba e diventare famoso.
Riguardo ai fulmini, il nostro Maestro ci spiegò l'importanza di contare i secondi tra il lampo ed il tuono, per stabilire quanto fosse vicino il pericolo di essere colpiti dal fulmine assassino; nessuno di noi aveva un orologio, ma il Maestro ci insegnò a ripetere la parola "capperi" con un certo ritmo, in modo che ad ogni cappero corrispondesse un secondo.
In tal modo le istruzioni per salvarsi dal fulmine assassino erano molto più divertenti.
- 10 capperi voleva dire più di 3 chilometri: smettere di giocare e correre dentro una casa o un "Madonnino"
- 5 capperi: se eri in una casa, chiudere le finestre e le porte, se eri fuori casa, cercare un gruppo di alberi, non uno isolato, e sperare che, tra tanti alberi, il fulmine assassino non colpisse proprio il tuo
- Meno di 5 capperi e fuori di casa? Accovacciarsi.... E cominciare a pregare.
Se non sapete cos'è un "Madonnino", ve lo dico: si tratta di quelle piccole cappelle di due o tre metri quadrati, molto numerose nella campagna senese. Dentro ognuna, c'è una statuetta o l'immagine della Madonna (per avere protezione religiosa) e fuori due o tre cipressi per intercettare i fulmini eventualmente troppo vicini (per avere protezione laica).
Ma gli insegnamenti più interessanti erano le storie delle nonne.
Come la storia di un fulmine che cadde su una processione, e tra tutte le persone colpì una certa signora, l'unica che non si era tolta dal dito l'anello da sposa.
O la storia di un contadino sciocco, che si era rifugiato sotto un albero: il fulmine colpì l'albero e incenerì completamente i capelli e i vestiti del contadino, il quale tornò a casa nudo e pelato (ma con le scarpe...).
La storia più bella era quella che raccontava mia nonna.
Quando era bambina, un fulmine globulare entrò in casa attraverso il camino, e si mise a correre sul pavimento; tutti, terrorizzati, salirono sulle sedie o sul tavolo !
Allora, il nonno della nonna, che era un uomo molto coraggioso, si mise la pipa in bocca, si alzò dalla sedia e aprì la porta di casa.
Il fulmine assassino uscì fuori e andò a morire nello stagno delle oche.

lunedì 11 febbraio 2013

La prima astronave

Eravamo tutti sul prato, a guardare la grande pietra che scendeva lentamente dal cielo, leggera come una nuvola, fino a posarsi poco lontano.
Non avevamo timore, poichè le Pance scoperte dei cacciatori non sentivano Pericolo.
Dopo qualche tempo si aprì una fessura nella Pietra, e diverse creature cominciarono a uscire.
Avevano strane pellicce, bianche come quelle dell'Orso ma senza pelo; erano molte, quante le dita di venti mani e quando furono uscite tutte cominciarono a camminare verso di noi, con le mani aperte.
Avevano la faccia colorata, bianca, gialla, nera, senza peli, anzi, i peli li avevano molto lunghi sopra la fronte disgustosamente alta.
Quando le creature furono vicine, vedemmo dalla forma delle pellicce che erano tutte femmine, ed una di esse avanzò da sola, aprì la bocca e disse qualcosa che somigliava a "pace" oppure "cibo", non si capiva bene, ma del resto era già incredibile che potessero parlare, con quelle mascelle strette e appuntite.
La nostra Madre Anziana, che meglio di tutte le madri sapeva Parlare-Ascoltare la mente, ebbe compassione e avanzò verso la creatura, alzò la mano e gliel'appoggiò sulla fronte.
Rimasero così a lungo, e quando si voltò, la Madre Anziana aveva gli occhi pieni di lacrime, tirò su col naso e disse: queste femmine vengono da una terra oltre il cielo, dove un drago di fuoco ha ucciso tutti i maschi. La loro Madre Anziana le ha fatte entrare nella Pietra, dove hanno dormito un sonno di gelo. Vogliono vivere con noi, ed avere il dono dei figli dai nostri maschi, e così sarà.
Il più anziano dei cacciatori osò esprimere il nostro disgusto, ma la Madre Anziana si limitò a guardarlo, tirò su col naso e disse: ho detto, e tu sarai il primo a fare il dono.
Così, le femmine venute dalla Pietra abitarono con noi, e divennero molte volte Madri; i cuccioli somigliavano in tutto a loro, nessuna figlia femmina ebbe mai il dono di Parlare-Ascoltare la mente, nessun maschio ebbe la Pancia che Sente il Pericolo.
E noi, l'Antica Gente, ci affezionammo a questi cuccioli così diversi, li proteggemmo perchè erano deboli, e sopportammo il loro continuo bisogno di parlare.
Ma ora basta, so bene che voi, figli dei figli dei figli non credete neanche alle vostre Antiche Madri quando vi raccontano la storia della Pietra scesa dal cielo.
Vi ho chiamato perchè la Pancia mi ha detto che sto per raggiungere gli antenati, e voglio svelare un segreto a voi, che siete la Nuova Gente.
Ascoltatemi, voi che non sapete correre come l'antilope e avete inventato il bastone che vola e uccide da lontano, voi che non potete vedere nel buio e avete scoperto che le lacrime del Pino bruciano a lungo in cima al bastone e non lo consumano, voi che non avete la forza di portare sulle spalle le grosse prede e avete inventato le pietre che rotolano.
Oltre le montagne intorno alla nostra terra, ci sono altre terre, io le ho viste quando ho fatto il mio viaggio per diventare cacciatore. E in queste terre ci sono acque, bestie, e alberi con cose buone da mangiare; quando la neve si scioglierà, i più giovani di voi si mettano in viaggio, vadano in queste nuove terre, perchè la vostra Gente presto diventerà più numerosa dei fuochi che nella notte si accendono in cielo.
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